Metodo (per arrivare
agli “Esordi”)
-Conquistare un diverso rapporto con il tempo.
-Continuare a farsi assalire dal romanzo. Girare sempre con
pezzi di carta nelle tasche.
-Tesserlo pensando ad altre cose, come in sogno.
-Non farsi prendere dall'ansia. Se hai paura di non avere
tempo sufficiente, rallenta ancora di più. Meno ci pensi e più il lavoro
progredisce. Meno ti immergi e più vedi nel profondo. Solo una mente riposata può
portare grandi pesi, in leggerezza. Non fare caso ai damerini, ai fogli di
giornale. Non farti bloccare. Per andare avanti bisogna rompere per forza,
tradire i fratelli e i maestri.
-Le tue forze mentali sono scarse, ti prendono amnesie, tic
e fissazioni. Ti è impossibile concentrarti, per questo devi lavorare su
reticoli di appunti, riscrivendoli all'infinito e connettendoli. Devi avanzare
cancellando. La tua testa è piena di fischi e di rumori, la gola è sempre
serrata per l’angoscia. Eppure, quando hai imparato a lavorarci assieme, la
decima parte del più labile dei cervelli è sufficiente alla più grande delle
imprese.
-E se l’arte non ha più nessun futuro in questo mondo… ecco
il momento ideale per dedicarsi ad essa!
-Lavorare in silenzio, nel silenzio.
Ho bisogno di stare nascosto, per poter lavorare, per non
andare in pezzi, ho bisogno di grande raccoglimento e di espansiva, irradiante
immobilità. Ma d’altra parte, se non vorrei essere la macchietta partecipazionista,
non vorrei essere neanche quella di segno opposto, aggiornata… i visibilissimi
che ora pretendono di essere persino gli invisibili, con le loro case editrici,
i loro media… la gara su chi è più invisibile, e alla fine si può stare certi
che vincono sempre loro, in questo nuovo volteggio postmoderno. "Guardate
tutti… guardate come sono invisibile, come sono isolato! Lo scrivano sui
giornali, lo dicano in televisione, sono il più isolato di tutti, ecco, vedete,
parlo del silenzio, nel mio ultimo libro compare sessantasei volte la parola isolamento,
novantatre la parola silenzio, e allora vedete bene che sono per forza il più
isolato di tutti, il più silenzioso!". Sono invisibili solo perché, pur
essendo continuamente in mostra, si vede attraverso di essi, non c’è niente…
silenziosi perché il troppo vociare alla fine assorda… parvenu del silenzio…
con quattro aggettivi sui rotocalchi, frasi da far arrossire: “Non ho più la maschera, non posso più incontrare uno
sguardo…” e via dicendo. “Tu clandestino? Ma vuoi scherzare! Lo sanno tutti che
siamo anche clandestini, adesso!” Si sono passati parola tutti quanti, fanno spettacolini
di marionette in forma strettamente privata, pochi spettatori scelti, pochi
intimi: il presidente della Repubblica, l’amico editore, la signora Agnelli… Il
testo pubblicato sui rotocalchi. “Tu, clandestino da sempre, sempre rifiutato
dagli editori? Nella tua nicchia di esplodente immobilità? Nel tuo silenzio?
Niente da fare! Non ti lasciamo neanche questo spazio, ci prendiamo anche
quello, persino quello, non sei in graduatoria per niente…” “D’accordo,
d’accordo, non c’è problema, siete voi gli invisibili e i clandestini, e tutto
quel che volete, e tutto il resto. I miei ultimi dieci anni, vent’anni… ma non
c’è problema, aspetterò un altro lustro, un altro decennio, un altro millennio,
un’altra vita… Mi metto immediatamente in disparte, ancora più in disparte,
anche se è difficile capire come. Avanti, c’è posto… sta passando la schiera
dei clandestini alla moda, gli invisibili con le trombette, i pennacchi…”
E’ significativo che rotocalchi, audiovisivi e altri media denominino
comunemente come “artisti” ballerini di programmi televisivi, presentatori,
pornodive, comparse, venditori di spot e cantanti in playback, mentre Flaubert
e Melville sono “scrittori”, Vivaldi e Mozart sono “musicisti”, Chardin e Van
Gogh sono “pittori” ecc… Si potrebbe obiettare che la denominazione
diversificata serva a indicare il campo specifico del loro operare. Ma allora
perché questa esigenza cade improvvisamente per presentatori e imbonitori che
operano nel campo dello spettacolo? Le parole sono un terreno di guerra. Prima di
tutto ci si impossessa delle parole. La società della dimensione audiovisiva e
dello spettacolo, conquistatasi il monopolio del conio e dell’emissione delle
parole, attribuisce solo a sé la qualifica di “artista”, facendone perdere il
senso, la memoria, mentre anche nell'editoria e in ogni campo cade ogni
possibilità e volontà di cogliere la differenza tra scrittura con carattere di
crosta giornalistico-informativa ed espressione artistica resa attraverso
linguaggio scritto, e chi invece ancora teorizza la necessità di tenere ben
ferma questa distinzione blatera di “alta” e “bassa” cultura e teorizza e
addirittura produce, spacciandola per “letteratura” e per “arte”, solo colto
colesterolo…
Nessun commento:
Posta un commento