Da "Tutto finisce in un libro" di Antonio Andrisani
Sarà capitato a tutti voi di camminare su di un pavimento piastrellato. Monocolore, bianco e nero alternato, dai contorni più o meno definiti, magari sbrecciati dal tempo, non è importante. Sarà capitato a tutti voi di camminarci, centrando le piastrelle secondo un percorso dal ritmo misterioso, un contrappunto del passo, segreto ed inspiegabile. Immediatamente decidete le regole: seguire il colore alternativamente o magari applicare una progressione numerica, di certo, non toccare la giuntura tra le mattonelle. Se ci si accanisce troppo nella elaborazione e applicazione delle regole è tempo di correre da uno specialista.
Sarà capitato a tutti voi di camminare su di un pavimento piastrellato. Monocolore, bianco e nero alternato, dai contorni più o meno definiti, magari sbrecciati dal tempo, non è importante. Sarà capitato a tutti voi di camminarci, centrando le piastrelle secondo un percorso dal ritmo misterioso, un contrappunto del passo, segreto ed inspiegabile. Immediatamente decidete le regole: seguire il colore alternativamente o magari applicare una progressione numerica, di certo, non toccare la giuntura tra le mattonelle. Se ci si accanisce troppo nella elaborazione e applicazione delle regole è tempo di correre da uno specialista.
Nella vita di ognuno c’è un numero più o meno equivalente di
pavimenti piastrellati su cui procedere seguendo oscure traiettorie. Dal
corridoio della scuola elementare sino a quello dell’ospedale, dal quale forse
non usciremo più. Poi toccherà ai nostri parenti scegliere un tragitto sul
lastricato del cimitero.
Non si può vivere senza eludere la piastrella. Tutti i
nostri rapporti, più o meno borghesi, sono regolati da questo costante calcolo.
Può essere pericoloso mettere il piede due volte sulla mattonella nera, tre non
ne parliamo. E allora conviene fare bianco/nera/bianco/nera. A seconda delle
circostanze e delle persone nelle quali ci imbattiamo la nostra massa si sposta
e si plasma. Non c’è bisogno di scomodare Euclide. Può essere congeniale alle
nostre necessità seguire una particolare diagonale mentre in altre circostanze,
magari pochi attimi dopo, conviene evitare qualunque pretesa di poligono e
scegliere un percorso del tutto alternativo. E poi le fughe, tra le piastrelle.
Possono essere strette, larghe, alte o basse. Abbiamo detto che non si
calpestano, ma in casi estremi, quando non riusciamo a gestire le situazioni,
si possono utilizzare. Per fuggire, appunto. Le nostre giornate passano come in
una sorta di gioco della settimana (non a caso si chiama così) sul marciapiede.
Un gioco paranoico e meccanico. Qualunque errore ci riporta indietro, al punto
di partenza. Si vince solo se non si commette nessun errore. Questa la spietata
regola. Irraggiungibile.
Ci illudiamo di controllare questo gioco, questo strano
vezzo e non ci rendiamo conto che siamo noi le pedine di questa gigantesca
scacchiera che è la nostra esistenza.
Probabilmente,
l’unico modo di eludere la piastrella, di evitare il calcolo e la falsità dei
nostri comportamenti è quello di abbandonare il freddo e marmoreo lastricato e
cominciare a camminare nell’erba. Magari senza scarpe. Come suggeriva
Pirandello. Forse, solo nella Natura, lontano dalla società borghese, l’uomo
può riconciliarsi con se stesso e trovare una qualche forma di autenticità.
Forse.
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