Domenico aveva avuto ragione a credere che questa visita a Roma avrebbe lasciato a suo figlio un ricordo duraturo. La decisione di Salvatore, non appena fu in grado di tradurre le sue impressioni in termini di volontà e intenzione, fu questa: non mi occuperò mai di politica, non rischierò mai il carcere per i miei principi, non darò mai la salute, e tanto meno la vita, per quello in cui credo. Alla fine saremo tutti alla mercé dei nostri corpi, ma almeno fatemi capire quello che ad essi accade.
La vista delle lacrime di suo padre mentre tornavano a piedi alla stazione fu anch'essa sgradevole per Salvatore. Esitava ad ammettere a se stesso che, al momento, era più vecchio del suo genitore, e si vergognò del fatto che non avevano nemmeno un fazzoletto tra tutti e due. C'era stato un tovagliolo, ma era rimasto col paniere e i doni indesiderati alla Clinica Quisisana. Da ultimo si fermarono davanti a una botteguccia, e Domenico, ancora molto commosso, mandò suo figlio, da solo, a chiedere un fazzoletto. L'uomo dietro il banco gli disse che doveva comperarne tre, che si vendevano solo in pacchi da tre. Salvatore gli si piantò davanti, occupando solidamente il suo terreno. "A mio padre ne serve solo uno. Dovete vendergli quello che gli serve". Il bottegaio si portò la mano all'orecchio, facendo finta di non capire. Salvatore ripetè quello che aveva detto in chiaro italiano. "E' la legge", aggiunse. Pagò un fazzoletto solo e contò il resto con una cura offensiva. Quel pomeriggio decise che non appena possibile non avrebbe più avuto dipendenze affettive nei confronti di nessuno.
giovedì 24 novembre 2011
Innocenza, di Penelope Fitzgerald
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