da "Contro il fanatismo" (Feltrinelli, 2002)
Esiste, più urgente della questione dei confini e di quella dei luoghi santi, più urgente di ogni altra questione, la tragedia dei profughi palestinesi del 1948. Quella gente che perse la propria casa e in alcuni casi la terra natia, e che durante la Guerra d'Indipendenza di Israele nel 1948 perse tutto. C'è il più totale disaccordo su chi addossare la colpa per questa tragedia. Secondo alcuni storici israeliani di oggi, è responsabile Israele. Suppongo che nel giro di qualche anno, e spero di esserci ancora quel giorno, alcuni storici arabi arriveranno a rinfacciare ai propri governi questa vergogna. Ma a prescindere dalle definitive responsabilità, la questione è urgente, nell'immediato. Ogni profugo palestinese, senza casa, senza lavoro e senza paese, dovrebbe ottenere una casa, un lavoro, un passaporto. Israele non può accogliere questa gente, per lo meno non in grandi numeri. Se lo facesse, non sarebbe più Israele. Tuttavia Israele dovrebbe essere partecipe della soluzione nel fornire risorse che permettano di aiutare questi profughi a reinsediarsi nelle zone palestinesi. Israele dovrebbe inoltre ammettere una parte di responsabilità nella tragedia. La percentuale di responsabilità è questione d'ordine accademico, e probabilmente molto soggettiva, ma una parte di responsabilità appartiene a Israele. L'altra alla leadership palestinese del 1947 e ai governi arabi del 1948. Israele è tenuto a collaborare al reinsediamento dei profughi nella futura Palestina, vale a dire Cisgiordania e Gaza, o altrove. Naturalmente Israele ha tutti i diritti di avanzare la questione del milione di ebrei profughi dai paesi arabi, che hanno perduto anche loro la casa e i beni, a seguito della guerra del 1948. Questi ebrei non vogliono tornare nei paesi arabi. Ma vi hanno lasciato tutto ciò che possedevano. Dall'Iraq, Siria, Yemen, Egitto, Nord Africa, Iran, Libano, sono stati respinti, a volte cacciati via con la forza. Tutto questo merita attenzione. Se io fossi il primo ministro d'Israele non firmerei nessun accordo di pace che non contemplasse una soluzione per i profughi palestinesi, vale a dire il loro reinsediamento nello stato di Palestina. Perché ogni risoluzione che ignorasse tale questione, sarebbe una bomba a orologeria. Non solo per ragioni morali, ma anche per la sicurezza stessa di Israele, questo problema umano e nazionale deve trovare una soluzione nel contesto immediato del processo di pace. Per fortuna non stiamo parlando dell'Africa o dell'India. Stiamo parlando di poche centinaia di migliaia di case e posti di lavoro. Non tutti i profughi palestinesi sono senza casa e senza un paese, al momento. Ma quanto a quelli che vivono ancora così, in condizioni disumane nei campi profughi - il loro problema è anche il mio. Se non c'è soluzione per questa gente, Israele non avrà pace e serenità, anche in presenza di un accordo con il vicino. Voglio poi proporre che il primo progetto comune fra ebrei israeliani e arabi palestinesi s'avvii non appena sarà conclusa la pratica di divorzio e si sia realizzata una soluzione binazionale. per questo primo progetto non avremo aiuti internazionali, le due nazioni dovranno investire nella stessa misura, dollaro per dollaro: si dovrà trattare di un monumento comune alle nostre stupidità passate, alle nostre idiozie. Perché tutti sanno ormai che quando un bel giorno il trattato di pace sarà realtà, il popolo palestinese avrà molto meno di quello che avrebbe potuto avere 55 anni fa, 5 guerre fa, 150 mila morti fa, i loro morti e i nostri morti. Se solo la dirigenza palestinese nel 1947-48 fosse stata meno fanatica e categorica e più propensa al compromesso, se solo avesse accettato la risoluzione Onu di spartizione nel novembre del 1947! Ma anche la dirigenza israeliana parteciperà a questo monumento alla stupidità, dal momento che noi israeliani avremmo potuto fare un affare molto migliore, più soddisfacente, dimostrandoci meno arroganti, meno intossicati dal potere, meno egoisti e rozzi, dopo la nostra grande vittoria militare del 1967. E così, le due nazioni dovranno fare un bel po' di introspezione, in cerca delle vicendevoli fesserie del passato. Peraltro, la buona notizia è che il blocco cognitivo è superato. A tentare un referendum quest'oggi, un sondaggio d'opinione fra il Mediterraneo e il Giordano, che chiedesse a ogni individuo - a prescindere dalla religione, dal censo, dalle tendenze politiche, dal passaporto o dall'assenza di passaporto - non la formula di una equa soluzione, non quello che gli piacerebbe vedere, ma quello che pensa succederà alla fin fine, posso immaginare che un 80% direbbe: "Una spartizione e una soluzione binazionale". Alcuni aggiungerebbero subito: "E sarà la fine di tutto, sarà un'ingiustizia tremenda!". Su entrambi i fronti, alcuni direbbero così. Ma, se non altro, la maggioranza dei popoli ora lo sa. La buona notizia è, credo, che tanto il popolo ebraico israeliano quanto quello arabo palestinese sono più avanti dei loro leader, per la prima volta in cent'anni. Quando alla fine un leader visionario salterà su a dire: "Ecco! E' fatta! Isogni biblici, chiunque è libero di continuare a covarli, i sogni del pre '47, del post '67, continuate pure a fantasticare quanto vi pare, l'immaginazione non è censurabile. Ma la realtà corre più o meno lungo i confini del 1967"; prendere o lasciare qualche ettaro qui e là, con un mutuo accordo; e una formula aperta per i luoghi santi, perché in questo caso solo un accordo elastico potrà funzionare. Nel momento in cui i leader di entrambi i fronti saranno pronti a dichiarare questo, troveranno due popoli tristemente pronti ad ascoltarli. Non con gioia, ma pronti. Più pronti che mai. Diventati tali nel modo più doloroso e cruento, ma pronti.
Vorrei dire un'ultima cosa. Che cosa potete fare? Che cosa possono fare gli opinionisti? Tutti voi europei? Che cosa può fare il mondo esterno, a parte scuotere il capo e aggiungere "terribile!"? Ebbene, due, forse, tre cose. In primo luogo, i vostri esperti in tutta Europa hanno la deprecabile abitudine di puntare il dito come un'arcigna istitutrice vittoriana in una direzione o nell'altra: "Non vi vergognate?". Troppo spesso trovo sui giornali dei paesi europei cose tremende, vuoi a proposito di Israele vuoi a proposito degli arabi e dell'islam. Cose corrive, meschine, supponenti. Intendo dire, non sono più un europeo in nessun senso, eccetto per il dolore dei miei genitori e antenati, che mi hanno trasmesso nel codice genetico questo amore non corrisposto per l'Europa. Ma non sono più europeo. Se però lo fossi, starei bene attento a non puntare il dito contro nulla e nessuno. Invece di far questo apostrofando ingiuriosamente Israele o i palestinesi, per favore fate tutto quel che potete per aiutare entrambe le parti, perché tutte e due sono in procinto di prendere la più tormentosa decisione della loro storia. Gli israeliani ritirandosi dai territori occupati, smantellando gran parte degli insediamenti, il che determinerà una contrazione dell'immagine di sé e provocherà una grave crisi interna. Essi correranno inoltre gravi rischi, non da parte della Palestina, ma da futuri poteri estremisti arabi che potranno un giorno usare il territorio palestinese per lanciare attacchi contro Israele che, dopo il ritiro, sarà ridotto a una striscia di 12 chilometri. Questo significherà che il confine del futuro stato palestinese si troverà a circa 7 chilometri dal nostro unico aeroporto internazionale. I due terzi della popolazione israeliana si troveranno in un raggio di 20 chilometri dal confine con la Palestina. Gerusalemme sarà sul confine. Non è una decisione facile da prendere per gli israeliani, eppure dovranno prenderla. I palestinesi dal canto loro dovranno sacrificare parti che erano loro prima del '48, e questo farà male. Addio Haifa, addio Giaffa, addio Beer Sheva, e molte altre cittadine e villaggi che erano della Palestina. Questo brucerà da morire.
A voi europei tocca riservare ogni ocia di aiuto e solidarietà a questi due pazienti, sin d'ora. Non dovete più scegliere tra essere pro-Israele o pro-Palestina. Dovete essere per la pace.
domenica 1 maggio 2011
Israele e Palestina: fra diritto e diritto, Amos Oz (II)
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