mercoledì 25 luglio 2012

Da Lettere a Milena, Franz Kafka

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Per contro sono lieto di poter fare davvero un piccolo sacrificio con alcune osservazioni sul Fochista, da lei desiderate; sarà come pregustare quella pena dell'inferno che consiste nel ripassare la propria vita con l'occhio della conoscenza, dove il peggio non è la visione degli evidenti misfatti, ma quella dei fatti che un giorno si sono creduti buoni!
Nonostante tutto però lo scrivere è un bene, ora sono più calmo che due ore fa con la Sua lettera, là fuori sulla sedia a sdraio. Stavo coricato e a un passo da me un insetto era caduto sul dorso, ed era disperato di non potersi rizzare; volentieri l'avrei aiutato, era facile aiutarlo, si poteva recargli aiuto con un passo e con una piccola spinta, ma lo dimenticai per via della Sua lettera, non potevo neanche alzarmi, soltanto una lucertola richiamò la mia attenzione sulla vita intorno a me, il suo cammino la portò sopra l'insetto ormai immobile, non era stato dunque, pensai, un infortunio, ma un'agonia, il raro spettacolo della morte naturale di una bestia: ma scivolandogli addosso, la lucertola lo raddrizzò, sicché stette ancora un istante fermo, come morto, e poi s'arrampicò di corsa su per il muro della casa, come niente fosse. Ciò m'infuse in qualche modo un po' di coraggio, mi alzai, bevetti il latte e scrissi a Lei.

Suo Franz K


sabato 14 luglio 2012

Da "Breve trattato sulla decrescita serena", Serge Latouche

Se si vuole veramente far emergere nel Nord un desiderio di giustizia che vada oltre la pur necessaria riduzione dell' "impronta ecologica", probabilmente occorre onorare, accanto al debito ecologico, un altro "debito" il cui "rimborso" è a volte reclamato dai popoli del Sud: restituire. La restituzione dell'onore perduto (quella del patrimonio saccheggiato è molto più problematica) potrebbe consistere nell'entrare in un partenariato di decrescita con il Sud.
All'inverso, mantenere, o peggio ancora introdurre la logica della crescita nel Sud, col pretesto di far uscire quei paesi dalla miseria creata dalla crescita stessa, può avere soltanto il risultato di occidentalizzarli ancora un po' di più. Nella proposta dei nostri amici altermondisti, animata peraltro da buoni propositi, di "costruire scuole, centri sanitari e reti di acqua potabile e recuperare l'autonomia alimentare" c'è un etnocentrismo tipico dell'universo dello sviluppo. Delle due cose l'una. O si chiede ai paesi interessati che cosa vogliono attraverso i governi o le inchieste tra un'opinione pubblica manipolata, e allora verranno fuori i "bisogni fondamentali" che il paternalismo occidentale attribuisce alla gente: si chiederanno condizionatori, cellulari, frigoriferi e soprattutto "le macchine", con l'aggiunta di centrali nucleari, aerei Rafale e carri AMX per la gioia delle caste al potere... Oppure si ascolta il grido accorato del leader contadino guatemalteco: "Lasciate in pace i poveri e non gli parlate più dello sviluppo". Tutti gli animatori di movimenti popolari, da Vandana Shiva in India a Emmanuel Ndione in Senegal, esprimono in modi diversi lo stesso concetto.
In fin dei conti, se è incontestabile che i paesi del sud hanno bisogno di "ritrovare l'autonomia alimentare", il vero problema è che l'hanno perduta. In Africa fino agli anni sessanta, prima della grande offensiva dello sviluppo, l'autonomia alimentare c'era. Non è stato forse l'imperialismo della colonizzazione, dello sviluppo e della globalizzazione che ha distrutto quell'autosufficienza, e che oggi aggrava ogni giorno un po' di più la dipendenza? Prima di essere pesantemente inquinata dagli scarichi industriali, l'acqua, con o senza rubinetto, nella maggior parte dei casi era potabile. Quanto alle scuole e ai centri sanitari, sono veramente le strutture giuste per introdurre e difendere la cultura e la salute? Illich ha espresso forti dubbi sul loro valore per il Nord. E' opportuno dunque essere ancora più prudenti per quanto riguarda il Sud, come d'altronde mostrano di essere (forse ancora troppo poco...) alcuni intellettuali di quei paesi. La sollecitudine del Bianco, che si mostra preoccupato della decrescita al Sud con il lodevole desiderio di andargli in aiuto, è sospetta. "Quello che si continua a chiamare aiuto - sottolinea giustamente Majid Rahnema - è soltanto una spesa destinata a rafforzare le strutture generatrici di miseria. Invece, le vittime spogliate dei loro veri beni non vengono mai aiutate quando tentano di sottrarsi al sistema produttivo globalizzato per trovare alternative che corrispondano alle loro aspirazioni".
L'alternativa allo sviluppo, nel Sud come nel Nord, non può essere dunque un impossibile ritorno indietro né un modello uniforme di "acrescita" imposto. Per gli esclusi, per i naufraghi dello sviluppo, deve essere necessariamente una sorta di sintesi tra la tradizione perduta e la modernità inaccessibile. Si tratta di una formula paradossale che riassume nel modo migliore una duplice sfida. Per affrontare questa sfida, è lecito scommettere sulla grande ricchezza dell'invenzione sociale, una volta che la creatività e l'ingegnosità si siano liberate dalla cappa economicista e "produttivista". Il doposviluppo, peraltro necessariamente plurale, significa la ricerca di modi di realizzazione collettiva nei quali non viene privilegiato un benessere materiale distruttivo dell'ambiente e dei legami sociali. L'obiettivo della "buona vita" si declina in modi diversi, a seconda dei contesti. In altre parole, si tratta di ricostruire/ritrovare delle nuove culture.