sabato 2 febbraio 2013

Da "Erostrato e la ricerca dell'immortalità" di Fernando Pessoa


Il genio fittizio

Uno dei fenomeni più sconcertanti della celebrità è ciò che si può chiamare genio fittizio. Il genio si manifesta in quanto impossibilità di adattarsi all’ambiente. A volte, tuttavia, vi sono differenze in relazione all’ambiente, senza che esista un vero adattamento.
E’ il caso di Robert Burns, il quale, scrivendo canzoni in lingua scozzese in un mondo di lingua inglese e distici, diviene esempio di genio fittizio. Ma proprio per il fatto di essere stato accettato ai suoi tempi ci mette sull’avviso di non commettere l’errore di definirlo genio. Simili differenze possono venire accettate come esempio di genio solo quando il genio è assente. Blake era diverso dalla sua epoca ed essa non gli prestò la benché minima attenzione.
Il genio fittizio vive in opposizione esteriore alla propria epoca; il genio vero in opposizione interiore. Chiunque può capire che un’opposizione esteriore è opposizione, pochi invece che lo è anche un’opposizione interiore.
Quando un’epoca brama qualcosa di nuovo (se mai è possibile che le epoche bramino qualche cosa), ciò che desidera è qualcosa di vecchio. Burns introdusse nel XVIII secolo una tradizione differente dalla tradizione letteraria predominante a quel secolo, e, in verità, una tradizione totalmente estranea alla letteratura europea. Ma ciò che portò fu una tradizione; infatti, non portò nulla di nuovo. Allo stesso modo, le canzoni e la musica dei negri che invasero l’Europa moderna ci provocano una curiosa impressione; ma, in se stesse, queste canzoni non hanno nulla di nuovo. Se fossero nuove, non ci piacerebbero. Sappiamo che non lo sono e amiamo la loro novità  proprio per questo.

Bruciare

Affinché l’arte possa chiamarsi tale, non le si deve chiedere sincerità assoluta, ma un certo tipo di sincerità. Un tale può scrivere un bel sonetto d’amore a due condizioni: perché è consumato dall’amore, o perché è consumato dall’arte. Deve essere sincero o nell’amore o nell’arte; non può essere famoso in nessuno dei due casi, e anche in nessun altro modo. Può bruciare all’interno, senza pensare al sonetto che sta scrivendo; può bruciare all’esterno, senza pensare all’amore che sta immaginando. Ma da qualche parte deve pur bruciare. Altrimenti, non riuscirà a trascendere la sua umana inferiorità.

"Ognuno di noi ha, forse, molto da dire, ma intorno a quel molto c’è poco da dire"

Nulla che valga la pena di essere espresso rimane inespresso; sarebbe contro la natura stessa delle cose. Crediamo che Coleridge tenesse dentro di sé grandi cose che non raccontò mai al mondo; tuttavia, le ha raccontate nel Mariner e in Kubla Khan, che contengono la metafisica che lì non c’è, fantasie omesse e introvabili speculazioni. Coleridge non avrebbe mai potuto scrivere quelle poesie se non avesse avuto dentro di sé ciò che quelle poesie esprimono, non per quello che dicono, ma per il solo fatto di esistere.
Ogni uomo ha ben poco da dire e la somma di tutta una vita di sentimenti e pensieri può, a volte, essere interamente contenuta in una poesia di otto righe. Se Shakespeare avesse unicamente scritto la canzone di Ariel e Ferdinand, in realtà non sarebbe stato lo Shakespeare che fu – ha scritto ben di più -, ma rimarrebbe di lui a sufficienza per mostrare di essere stato un poeta più grande di Tennyson. Ognuno di noi ha, forse, molto da dire, ma intorno a quel molto c’è poco da dire. La posterità ci vuole succinti e precisi. Fauget scrisse magistralmente che la posterità ama solo scrittori concisi.
La varietà è l’unica giustificazione dell’abbondanza. Nessuno dovrebbe lasciare venti libri differenti, a meno che non sia capace di scrivere come venti uomini differenti. Le opere di Victor Hugo riempiono cinquanta grossi volumi, ma ognuno di essi, quasi ciascuna pagina, contiene tutto Victor Hugo. Le altre pagine si sommano come pagine, non come genio. In lui non v’era produttività, bensì prolissità. Perse il suo tempo in quanto genio, ne perdette poco in quanto scrittore. L’opinione di Goethe al suo riguardo continua ad essere suprema, nonostante sia stata troppo precoce, e una grande lezione per qualsiasi artista: “Dovrebbe scrivere di meno e lavorare di più”, disse. Questo parere, nella sua distinzione tra lavoro serio, che non si espande, e lavoro fittizio, che occupa spazio (dato che le pagine non sono altro che spazio), è una delle grandi opinioni critiche del mondo.
Se riesce a scrivere come venti uomini differenti, è venti uomini differenti, e comunque ciò avvenga, i suoi venti libri troveranno una giustificazione.

Poesia

(…) Lo sforzo concentrato necessario per produrre una buona poesia, anche se breve, eccede l’incapacità costruttiva, la miseria della ragione, la futilità della sincerità, la disordinata povertà d’immaginazione che caratterizzano la nostra epoca. Quando Milton scriveva un sonetto, lo faceva come se la sua vita dipendesse da quell’unico sonetto. Nessun sonetto dovrebbe venir scritto con spirito differente. Un epigramma può essere una pagliuzza, ma deve essere una pagliuzza alla quale il poeta moribondo si aggrappa. (…)