giovedì 29 dicembre 2011

Salvese quien pueda - Juana Molina

sabato 24 dicembre 2011

Wild Eyed Boy From Freecloud compilation



HERE

(Photo di Jan Saudek)

sabato 10 dicembre 2011

Tanto è sempre carnevale

giovedì 24 novembre 2011

Innocenza, di Penelope Fitzgerald

Domenico aveva avuto ragione a credere che questa visita a Roma avrebbe lasciato a suo figlio un ricordo duraturo. La decisione di Salvatore, non appena fu in grado di tradurre le sue impressioni in termini di volontà e intenzione, fu questa: non mi occuperò mai di politica, non rischierò mai il carcere per i miei principi, non darò mai la salute, e tanto meno la vita, per quello in cui credo. Alla fine saremo tutti alla mercé dei nostri corpi, ma almeno fatemi capire quello che ad essi accade.
La vista delle lacrime di suo padre mentre tornavano a piedi alla stazione fu anch'essa sgradevole per Salvatore. Esitava ad ammettere a se stesso che, al momento, era più vecchio del suo genitore, e si vergognò del fatto che non avevano nemmeno un fazzoletto tra tutti e due. C'era stato un tovagliolo, ma era rimasto col paniere e i doni indesiderati alla Clinica Quisisana. Da ultimo si fermarono davanti a una botteguccia, e Domenico, ancora molto commosso, mandò suo figlio, da solo, a chiedere un fazzoletto. L'uomo dietro il banco gli disse che doveva comperarne tre, che si vendevano solo in pacchi da tre. Salvatore gli si piantò davanti, occupando solidamente il suo terreno. "A mio padre ne serve solo uno. Dovete vendergli quello che gli serve". Il bottegaio si portò la mano all'orecchio, facendo finta di non capire. Salvatore ripetè quello che aveva detto in chiaro italiano. "E' la legge", aggiunse. Pagò un fazzoletto solo e contò il resto con una cura offensiva. Quel pomeriggio decise che non appena possibile non avrebbe più avuto dipendenze affettive nei confronti di nessuno.

venerdì 4 novembre 2011

giovedì 3 novembre 2011

Porcile, Pier Paolo Pasolini



lunedì 26 settembre 2011

giovedì 22 settembre 2011

lunedì 19 settembre 2011

Monica Vitti





domenica 4 settembre 2011

"Bisogna immaginare Sisifo felice"

Quando succede una cosa come questa, rimane un grido di dolore nell’aria che diventa di tutti.
E’ il grido soffocato che una persona ha disperatamente deciso di non lanciare, ma che deve essere liberato. Il grido divenuto insostenibile per chi non ha più trovato orecchie ad assorbirlo, che deve essere placato.
Forse è per questo che una cosa così, una rinuncia così intima e privata si espande a dolore di tutti. Quel grido sospeso nell’aria è destinato ad interrogare un’intera comunità, ad interrogare il dolore personale di tutti quelli che ne fanno parte, e a diventare inevitabilmente il metro della stabilità delle loro vite. Ma delle loro vite insieme, delle relazioni che quelle vite sono in grado di creare, distruggere, interrompere, giudicare, abbandonare, sminuire, soffocare e così via. Delle braccia e delle mani che vogliamo tendere e non più negare, dell'aiuto che vorremmo chiedere e non abbiamo ancora osato ammettere. Di relazioni così necessarie.
Ho scritto queste righe (io che non ero sua amica, familiare, e quasi neanche conoscente) perché io sento quel dolore come mio, l’ho avvertito. Non voglio appropriarmene, non voglio né celebrarlo né spiarlo dalla serratura, non voglio “dirne”. Vorrei però contribuire a liberarlo, insieme ai miei dolori di ogni giorno.

Sui modi per fare ciò, per squarciare quella specie di nuvola di sofferenza sospesa nell'aria, ognuno può decidere.
Basta ricordare però quanto è bello partecipare ad un dolore – come farsi una cicatrice che rimarrà sempre lì a ricordarti quanto tu vivi – semplicemente sentendolo, essendone trafitti in silenzio e guardandolo negli occhi (cosa c’è di più immenso che guardare negli occhi un amico?).
L’azione, azione come sentimento espresso perché anche l’anima ha una sua fisica, è la via per riconnettere una scomparsa come questa al significato della sua (resistenza in) vita.
Non i discorsi, non i “perché?” e i "come mai?" (il pessimo giornalismo), non le recriminazioni e i conforti - al di là della rabbia e lacerazione iniziale che pure è forte -, possono davvero aiutare. Ma il fare qualcosa per noi, per un “noi” più grande di quello che immaginavamo.

Credo che quando succede un fatto tragico come questo tutta la città, tutta la comunità – come una famiglia più estesa - debba stringersi assieme per liberare quel grido. Deve farlo, deve essere così. E' come se nessuno fosse escluso. Perché è un peso troppo grande, la vita di un ragazzo. E lo è per tutti, non solo per i suoi coetanei.
(Magari pecco di ottimismo, a pensare che più gente al di là dei familiari e degli amici di M. possa soffrire questa perdita. Ma magari no. E comunque non voglio rinunciare a pensarlo, perché sento di liberare adesso questo mio pensiero e che non posso trattenerlo).

Ci pensavo l’altra mattina, quando sono passata al Duomo e ho visto tutti i suoi amici (e non solo) lì. Ho pensato che è come se l'unica spiegazione che puoi dare a una cosa così – qualcosa di intangibile, più che incomprensibile, della quale non verrai mai a capo -, l'unica cosa che ti può permettere di superarla è stare uniti. Restare uniti, unirsi o tornare uniti, ma creare relazioni sane.
Sentire di stare sotto lo stesso cielo, di respirare la stessa aria, di essere riscaldati dallo stesso sole.
L’altra mattina immaginavo il suo sguardo posato sui suoi amici da chissà dove che diceva loro: "State così per sempre, e non solo oggi. Restate aggrappati al senso delle piccole vittorie di ogni giorno, e siatene felici. Io ho mollato, invece voi dovete lottare per esse".

Je suis la solitaire, Keny Arkana

domenica 28 agosto 2011

"Amare da morire", una compilation


(foto di Mario Giacomelli)

Scaricare QUI

mercoledì 24 agosto 2011

“Le canzoni migliori le scrive la fame”

Nel vento caldo della crisi globale, tra i cali della Borsa e i pugni in alto delle giovani generazioni (e degli esclusi) d'oriente e d'Europa, in giorni italiani di manovra economica e solite code ai caselli, sempre troppo pochi siamo capaci di unirci in protesta fuori da facebook, e questo ormai è ciò che ci rende “italiani”. Eppure ci siamo. Siamo gente di mare-pianura-montagna-collina che se ne va, come un altro anno che quest’estate si porta via, siamo solo cittadini di frontiera che crescono in questo mondo di ladri, che non si arrendono mai. Eppure anche noi percepiamo la fame (di giustizia, di cambiamento, di rispetto), e in qualche modo troviamo ogni giorno nutrimento a tamponarla. Probabilmente sarà quando il peggio – di chi aspettiamo ma non c’è a sostenerci - sarà evidente (quando la somma di tutti i peggio e meno peggio mostrerà il suo volto) che sapremo davvero amare il sintomo e lo stimolo della fame.
Circa un mesetto fa è nata La Fame Dischi, che QUI si presenta così: “Le canzoni migliori le scrive La Fame”. Una frase direi proprio bella nella sua affatto scontata urgenza espressiva. Etichetta oltre l’etichetta, La Fame si propone come catalizzatrice di giovani musicisti ( dei 25 anni) squattrinati che vogliono fare musica nonostante il lavoro che non c’è e nonostante oggi sono qui e domani là; di quelli che (pur consapevoli delle difficoltà che può comportare in termini sociali dire no a happy hour e aperitivi studenteschi, e di appartenere al peso culturale morto dell’Italia che legge almeno 4 libri all’anno*) adesso hanno fame di musica e di canzoni e basta, e di quelli che probabilmente non accettano questo momento storico in cui a contare nelle scelte sono sempre i più arroganti ed egoisti (e fieri di esserlo). Cioè quelli che non si sazieranno mai.

Secondo noi questo stato di insofferenza legata all’insicurezza, dona all’arte autenticità e bellezza. Quando un artista ha lo stomaco pieno, ha raggiunto il successo o quanto meno una certa stabilità, e non è più in grado (o lo è molto meno) di raccontare la realtà”.

E’ già online sul sito “Pà Pà”, primo singolo – anticipatore del primo ep ufficiale – di Marazzita, cantautore 25enne calabrese che si diverte raccontando le sue malinconie da fuorisede con la chitarra in mano.

*per dire, senza grosse pretese.

lunedì 22 agosto 2011

Avanti, Nada Malanima

martedì 9 agosto 2011

lunedì 1 agosto 2011

"Tutto il mondo è palese", miei aforieri e pensismi (in aggiornamento)

Ho un unico grande difetto: non sono invidiosa.

Chi nasce figlio unico non può vivere in doppia.

La pazienza ha un milite (e io lo conosco benissimo).

La mia scrivania ha la mia stessa età. Ha mantenuto sempre i piedi per terra, tranne quando l’ho usata.

Un uomo senza palle incontrò una donna con le palle: “Dove le hai trovate?” – chiese lui – “Al discount c’era l’offerta 3x2” – rispose lei.

Ogni tanto devo ricordarmi che per aprire un mobile, fare il caffé o pulire una stanza non basta fare click sul tasto destro.

“Non sei fidanzata? E come mai? Ma per scelta?” “No, è che sono una pericolosa latitante. Però adesso non dirlo a nessuno, mi raccomando.”

Se siete tanto puntuali ed efficienti perché non organizzate un workshop sul tempismo? Giuro che vi parteciperei.

“La Nausea” era il blog del giovane francese Jean-Paul negli anni ’30.

"Mettiti nei miei panni", una frase che si dice sempre a chi non ha la stoffa.

domenica 31 luglio 2011

Incognito, Amanda Lear - 1981


here

1 - Laziness
2 - Indifference
3 - Bureaucracy
4 - Fear
5 - Pride
6 - Nostalgia
7 - Greed
8 - Envy
9 - Anger

sabato 30 luglio 2011

Love is not a losing game


Quando ho visto su YouTube i video dell’ultimo concerto di AmyWinehouse in Serbia postai questo su facebook col commento “game over for Amy”, perché era chiaro che la ragazza aveva gettato completamente la spugna. Nel senso che proprio ormai si era gettata nel cesso, a terra, nella monnezza e ovunque, essendo lei “la spugna”. Una spugna non riesce a tenere in mano neanche un microfono, semplicemente perché non ha alcun motivo per farlo.
A Belgrado è morta pubblicamente AmyWinehouse: la nuova icona del pop mondiale, la starlette che si esibisce scolando grossi bicchieroni, quella immortalata nelle foto più improbabili (non si capisce davvero come mai avrebbe dovuto affrontare un nuovo tour, nelle condizioni in cui era. Se allo staff è bastato il suo “Certo, sto benissimo!” alla domanda “Puoi farcela?” non si fatica molto a dedurre in che mani si trovasse la Winehouse negli ultimi anni, oltre a quelle dell’alcol e della droga).
Amy Jade Winehouse, la scapestrata ragazza inglese dell’83, la cantautrice soul e r&b degli anni 0, la giovane bianca dalla voce sorprendentemente nera, stava invece morendo già da alcuni anni.
Amy Jade è una che ha cominciato a distruggere il talento puro che possedeva già prima di pubblicare “Back to Black” (album del successo trainato infatti dai suoi no categorici alla “Rehab”), è una stupida ragazzina che fa cose idiote mentre dentro ha un irrefrenabile mondo che sta sbocciando e che lei continua ad annaffiare con l’alcool.
(C’è forse bisogno di dire che?) E’ stato subito chiaro a tutti che la Winehouse era tutt’altra cosa rispetto alle Britney-Aguilera-e nuove Madonne a venire (compresa Lady Gaga che, devo dire, molto umilmente le ha sempre mostrato il giusto rispetto). Quando l’ho ascoltata per radio le prime volte, ero affascinata dalla sensazione di una specie di “viaggio verso e sulle radici” che poche cose sono in grado ancora di comunicarmi; quando ho guardato sue esibizioni (come questa, che mi fa piangere ogni volta), mi commuoveva il suo essere contemporaneamente tutta “dentro” e “fuori” la musica. Il suo “essere” lei lì a cantare davanti a un pubblico, e il suo “non-essere” più lei all’improvviso (il suo corpo, quella chiomazza e quelle pin-up sulle braccia) ma la voce e le parole dell’anima (e lei riusciva a fare davvero soul e blues): in equilibrio perfetto. Il suo equilibrio (che io trovavo davvero bello, perché quando veniva fuori era meravigliosamente senza fronzoli a dispetto dell’aspetto; e veniva fuori anche quando era visibilmente alterata come qui).

Amy, porca miseria. Sei stata una grandissima cretina.
Avendola sempre guardata e ascoltata come una donna della mia età (non come il successo celebrato di una stagione), mi rivolgo a lei come mi rivolgessi a un amico.
Io se solo sapessi che una mia amica ha scritto una cosa come “Love is a losing game” (che qui sotto ho tradotto sperando di tradire il meno possibile il testo originale), le stringerei le braccia al collo giurandole con questo gesto un amore incondizionato.
A Amy avrei cercato di dire che No, No e poi No, l’amore non è affatto una partita persa. Non lo è se non ami prima te stessa. Nessun “Mr Hathaway” può insegnarti un modo per farlo al posto tuo, ed è quella la riabilitazione più difficile. Eppure è l’unica guarigione possibile. Amarsi è l’unico modo per tenere il controllo di sé. E tu, Amy, hai perso la tua partita. Ti sei fatta divorare dalle fiammelle, invece che dal fuoco amico che ti ardeva dentro. Non sono i ricordi che ti hanno danneggiato, ma tu che ti sei fatta distruggere in loro nome. L’amore non è una fatale rinuncia, sei tu che ti eri da tempo rassegnata a un altro destino.


L’amore è una partita persa
(mia traduzione)

Per te sono stata una fiamma
L’amore è una partita persa
Per me sei stato un incendio di cinque piani
L’amore è una partita persa

Vorrei solo non aver mai cominciato
Che casino abbiamo combinato
E adesso lo sento definitivamente
L’amore è una partita persa

Vissuto fuori da ogni legame
L’amore è una mano smarrita
Più di quanto possa sopportare
L’amore è una mano smarrita

Auto-dichiaratosi, assoluto
Fino ad affondarne ogni frammento
Se tu sei un giocatore d’azzardo
L’amore è una mano smarrita

Anche se lotto ad occhi chiusi
L’amore è una fatale rinuncia
I ricordi distruggono la mia mente
L’amore è una fatale rinuncia

Oltre ogni vana probabilità
Persino gli dei ci deridono
Adesso lo sento definitivamente
L’amore è una partita persa


sabato 16 luglio 2011

Scimmie da amare, 1991-2011



Un'idea di AnnaritaFavilla
Montaggio di MadambraPuppets

Thanks to Hiroscimmia per la loro "Scimmie da amare" (da i Like Gazebo Vol. B, Cacca Dischi 2011)

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Brindisi, 25 febbraio 1991 e Bari, 8 agosto 1991
-- 20 ANNI DOPO -
Lampedusa, marzo 2011

Roberto Maroni, Ministro dell'Interno (Lega): «C'è il rischio di una vera e propria emergenza umanitaria. Ci sono cittadini in cerca di protezione, ci sono criminali evasi dalle carceri e personaggi infiltrati da organizzazioni terroristiche come Alqueda nel Maghreb Islam. Una organizzazione che cerca di infiltrare agenti in Europa» ha spiegato il ministro, aggiungendo che il problema verrà posto all'attenzione della Ue anche per i «riflessi sulla sicurezza interna in Europa».

Di seguito alcuni tra i commenti degli utenti ai video degli sbarchi a Lampedusa su yuotube (non ho fatto nessuna particolare selezione, purtroppo i commenti sono tutti su questo genere):

- risolviamo il problema immigrati a Lampedusa. Firmiamo una petizione affinché il Governo ceda Lampedusa alla Tunisia, così ci togliamo dai coglioni questi cazzo di rompicoglioni.

- mandateli indietro perchè qui non c'è trippa per gatti, altrimenti noi italiani chiederemo asilo politico alla tunisia. forse lì verremo più accolti visto che il ns governo non ci tutela sia a lavoro che a diritti vari.

- Non c'è posto per questa gente in Europa.

- Il cuore è un "accesso" ma la ragione è la "MISURA",ed io credo che la cittadella Europa sia oggi una storica CALAMITA per le civiltà del mondo non-sviluppato. Mi ricorda la rivoluzione industriale ed il rapporto Città-Campagne. Ma la Storia non si ripete, e la RAGIONE deve essere Misura. Le DEMO-proporzioni prevedibili nel tempo, dell'impatto europeo con le "periferie" etno-satellitari - ricordo che l'Italia ha 299 ab.per kmq - sono fuori ogni "MISURA" ed è bene che lo comprendiamo da subito!

- dovè il napalm quando serve?

- Ma come, prima manifestano per la democrazia e quando la ottengono scappano??? Ma scappano da che cosa??? Secondo me vengono in Italia solo per spacciare droga e stuprare, ricacciamoli a calci in culo in Africa e subito!

‎- dato che loro ci invadono,,,facciamo la stessa cosa anche noi. invadiamo la libia e becchiamoci il loro petrolio,,,,,per lo meno pagheremo 20 centesimi al litro la benzina di merda che e tremonti cela fanno pagare 1,65 al litro ....ladriiiiiii !!!!
I musulmani sono solo buoni a portare casini nella nostra nazione. Una societa' sepolta nell' inmomdizia dell' inmoralita' e della perversione: porci che camminano e non raggionano, se non sul come fregare il propio simile e sulla marca da drinketto da scolari. Non ci sono musulmani buoni ma solo furbi.

- Scusate ma se siamo tutti d'accordo a mandarli a fare in culo perchè i politici non fanno quello che vuole la gente? Hanno fatto la loro bella rivoluzione del cazzo per la libertà e poi scappano....Dico che sinistra, destra, e lega ci stanno prendendo per il culo...perchè a Malta se vedono un barcone gli sparano e noi no? Ribelliamoci!

- tunisini codardi. hanno la possibilità di costruire la democrazia nel loro paese e invece scappano. TUNISINI CODARDI!

- tutta ciccia x gay. si salvi ki può !!

- oggi anno gia iniziato a lamentarsi...LAMENTARSIIII​I!!!¬! allora perche non tornate la da dove siete arrivati? loro scappano dalla guerra ma dico LA PORTERANNO QUI dA NOI LA GUERRA perche è nel loro modo di fare e sempre lo faranno...

- ELIMINAZIONE!!

- Mandateli a Fanculo al loro paese a calci in culo! che gia di delinquenti ne abbiamo abbastanza!!!! e se noi andiamo nei loro paesi ci fanno la pelle!!!! Italia popolo di ignoranti e Leccaculi!

- no guarda io direi di aprire un lagher e bruciarli vivi tutti, così nn ci disturbiamo neppure a rimandarli indietro ke ne dici??

- fuciliamoli sti bastardi islamici maomettiani pedofili e buttiamogli un belconfetto atomico a sti cazzo di inzivuzi

- Sparategli ai barconi Ca**o!!! Ma che credono di trovare qui in Italia??? Ma quanto rincoglioniti siamo!!! Italia, inizi a schifarmi sempre di più!!! Sono degli animali!!! E in più l'Italia gli ha consegnato delle villette a schiera per accoglierli!!! Spero entro breve succeda qlc di grosso contro sto schifo!!! Voglio essere presente al cambiamento!!!

migrantiiiiii...PRRRRRRRRR​RRRR¬RRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR​RRRRRRRRR-RRRRRRRRRRRRRRRR​RRRRRRRRRRRRRR-RRRRRRRRRRR​RRRRRRRRRRRRRRRRRRR-RRRRRR​RRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR-R​RRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR​RRR-RRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR​RRRRRRRR-RRRRRRRRRRRRRRRRR​RRRRRRRRRRRRR¬RRRRRRRRRRRR​RRRRRR

- alle donne di quella razza..andate a sgravare a fanculo voi e i vostri figli

- La povertà dunque si è generata negli ultimi giorni.....Guarda , vai a farti benedire dalla Caritas che è l' unica , insieme a te che apprezza questi animali . Imbecille.

martedì 12 luglio 2011

"Scrivere dell'universo è difficile...", Sergej Dovlatov

Da "La marcia dei solitari" di Sergej Dovlatov (Sellerio, 2006)

Scrivere dell'universo è difficile. Immaginarselo è impossibile. Perché l'universo è l'assenza, è il nulla...
Ricordo bene il giorno del trionfo di Gagarin.
Noi, studenti dell'Università di Leningrado, camminavamo per il Nevskij Prospekt. Agitavamo degli striscioni fatti a mano. Gridavamo qualcosa infervorati. Solo il mio amico, il famoso bagarino Beluga, ripeteva caustico:
"Esultate, cafoni! La dinamo è nello spazio!"
"Dinamo" nel linguaggio della mala significa "grande truffa". Per di più con una sfumatura di modesta ricercatezza.
Evidentemente Beluga prima degli altri aveva percepito l'arrivo di una grandiosa campagna pubblicitaria. Aveva intravisto i primi trucchi del bluff spaziale sovietico...
Gagarin aveva un viso di rara gradevolezza.L'hanno insignito, consacrato e magnificato. L'hanno trasformato in un simbolo animato. In un sorridente idea politica.
Ma ogni tanto Gagarin diventava un essere umano. E allora si sbronzava. Evidentemente non voleva essere un'idea. E beveva sempre di più.
Prima ha avuto un incidente di macchina. Sul suo viso, che continuava ad essere un bene pubblico, è comparsa una profonda cicatrice.
Poi Gagarin ha fregato un aereo e si è schiantato definitivamente...
L'era spaziale continuava. Di idee volanti ne sono comparse sempre di più. Per i loro innumeri ritratti le mura del Cremlino non bastavano.
Il novero degli astronauti cresceva sempre di più. E hanno messo su la loro squadra di calcio...
Poi è accaduta una tragedia. Sono morti alcuni astronauti (non ricordo se tre o quattro). E' stato un giorno di lutto e tristezza. Mia figlia mi aveva chiesto:
"Ma tu, perché non piangi?"
Avevo risposto:
"Piangono quelli che li conoscevano. Per me erano idee volanti. Non posso piangere per la morte di un'idea".
Sono passati molti anni. Nello spazio, a turno, volavano tutti i democratici popolari: un vietnamita, un bulgaro, un polacco...
Ad essere onesti, ho smesso di interessarmi a queste faccende. Da tempo non mi interesso più di propaganda. Da tempo cerco di farmi guidare dalle mie idee e non da quelle degli altri...
E all'improvviso siamo venuti a sapere dello shuttle (lo si può considerare un autobus spaziale. Un taxi cosmico a itinerario fisso).
La navicella è rientrata sulla terra. Ha riportato i milioni che erano stati investiti. Ha riportato quelle meravigliose apparecchiature. Ha riportato le persone.
Leggendo le notizie sui giornali, noi non pensiamo alle idee che volano nello spazio. Pensiamo agli stabilimenti spaziali. Al turismo cosmico. Cioè al futuro nello spazio.
Ci convinciamo che l'umanità abbia un posto dove andare, dove volare, a cui anelare. Così, se anche l'Occidente cederà ai Soviet, continuerà ad esserci un posto dove si potrà emigrare...

mercoledì 6 luglio 2011

mercoledì 29 giugno 2011

Sfiorarsi e non affrettarsi, Pierre Sansot

La lentezza non costituisce un valore in sé. Dovrebbe permetterci di vivere dignitosamente in compagnia di noi stessi senza disperderci in progetti inutili. Quello di cui stiamo parlando non è dunque il tempo necessario a compiere il nostro dovere: poco importa se riusciamo a portarlo a compimento più o meno in fretta. A una visione in qualche modo orizzontale sostituiamo un approccio verticale: in questo caso il livello di impegno che mettiamo in ciò che ci si presenta. Ci ripromettiamo di sfiorare quanto ci circonda invece di afferrarlo al volo. Allora le persone ci offriranno la loro vera essenza, ciò che accettano di essere, procedendo verso di noi con la loro personale andatura, qualche volta veloce e qualche volta lenta.
Sono stato bambino durante la guerra. Ho conosciuto le cosiddette "privazioni": non venivo lasciato senza il dolce per una birichinata, quello che mancava era il pane, il latte, la carne, l'elettricità, la libertà. Quando i tedeschi sono stati costretti a tornare in Germania, mi sono gettato su ogni sorta di cose come dopo un lungo digiuno. Andavano di moda i cineclub, ci rimpinzavamo di film e di analisi critiche, qualche volta militanti, sui film. Ci mangiavamo intere baguette. Provinciale, sono andato a studiare nella capitale. Giravo per ore intere Parigi in metrò, da una linea all'altra, sgranando con gioia le stazioni che formavano per me un rosario di nomi illustri. Bastava che un nome fosse stato attribuito a una stazione del metrò per godere ai miei occhi di una fama eccezionale.
A dire la verità non visitavo la città zona per zona, aiutandomi con una piantina. Non ero così antipatico. Ma mi comportavo come un occupante, potevo tenere in mano o a memoria i venti arrondissements di Parigi.
Ho imparato a essere discreto. Ho ammesso l'ignoranza che un preteso sapere aveva promesso di diminuire. Sono apparse delle zone d'ombra. Parigi si è oscurata.
Ho avuto la delicatezza di conoscere una città, un quartiere, attraverso il suo canto, una persona dall'inflessione della voce, un albero dalla sua ombra. Ho capito che l'altro lato delle cose mi sarebbe sempre sfuggito, qualunque cosa facessi. Ma allora, come bisogna comportarsi e quali modelli, quali astuzie culturali bisogna adottare?
Camminare in punta di piedi per non interrompere una conversazione, per non disturbare il sonno di un bambino. Gli umili se ne vanno da un giardino pubblico come dalla vita, in punta di piedi. Tenere gli occhi bassi, non per prudenza o paura, ma perché non bisogna squadrare le persone in modo maleducato. C'è sempre una certa sfrontatezza nel guardare qualcuno dritti in viso.
Gli occhi semichiusi dopo una gran mangiata, in segno di soddisfazione, per non turbare la gioia della digestione, per fingere beatitudine perché siamo pieni da scoppiare delle vettovaglie offerte e ingerite.
Sonnecchiare, non prestare attenzione a un mondo che non la merita, ma non piombare comunque nelle tenebre dell'incoscienza. Restare nel dormiveglia. La testa penzolante, le mani sulla pancia, la bocca socchiusa, tutto il nostro corpo arreso alla libertà in una posizione che uno sguardo malevolo definirebbe ridicola.
L'uomo e la sua ombra: che cosa c'è di più banale, di più spiegabile con l'aiuto del sapere delle scienze umane? Preferirei essere il primo della nostra specie a essere "un uomo e la sua penombra".
Io lo sfioro e l'altro non si rende neppure conto di essere stato toccato in modo impercettibile. Bisogna comunque che stabilisca un contatto, anche furtivo, senza il quale non potrei provare la più deliziosa delle sensazioni.
Sto in disparte, mi defilo. Non credo comunque di dare prova di vigliaccheria. Le mie piroette, le mie finte richiedono una grande abilità. Se il mio partner è abbastanza intelligente, si presta al gioco, anticipa o crede di anticipare le mie ritirate. Ed è così che, grazie alla mia capacità di mantenere le distanze, possiamo unire le nostre vite.
Ho girato tutto il Sudovest della Francia. Non cercavo pale d'altare, fattorie riattate, castelli. Sentivo le palle da tennis sfiorare il terreno al circolo di ogni cittadina. A quel tempo si giocava sulla terra battuta. Evitavo di andare al circolo. Indovinavo a orecchio un servizio o un rovescio tagliati, un diritto liftato, una smorzata. Immaginavo il candore dei vestiti. Dopo aver ascoltato quella musica discreta e deliziosa mi concedevo un pasto di classe o abbondante sulle rive di uno dei miei fiumi.
Un modo di starsene in disparte che non ha alcun rapporto con il malumore, ma indica piuttosto una certa indifferenza. Le labbra di una donna imbronciata sbocciano come un fiore, diventano rosse e carnose. Un volto, come l'oceano, deve sottostare a continui capricci.
"Quando lo prendo tra le braccia" il ritornello dovrebbe finire qui. Quel gesto di tenerezza basta a se stesso e la voce di Edith Piaf riempie il mondo.
A fior di labbra, come se le labbra fossero un fiore. Parlare in questo modo è forse un segno di maleducazione, ma indica anche il desiderio di non impadronirsi dell'attenzione dell'altro, di lasciare intendere che quello che si potrebbe dire in più non è poi così importante.
"Ventre vuoto non sente ragioni." Questa non è la condizione di chi spilluzzica. Significa rifiutarsi di lappare, eppure è bello mangiare un frutto a morsi e dissetarsi con qualche bel bicchiere di vino fresco.
Parlare per mezze parole. Le parole intere (integre) sono troppo grosse, grossolane, bisognerebbe dividerle in quarti, in ottavi di parola. Così diventerebbero particelle di significato.
"Mi dice parole d'ogni giorno", senza temere stupidamente la banalità, come i falsi intellettuali, i preziosi. Le parole comuni sono più ricche perché hanno girato per le strade e nelle case. Per esempio, in caso di disgrazia diciamo "Mio Dio, mio Dio" e per dirlo non c'è bisogno di aver fede. Invece di dimostrare a un amico che sta sbagliando, dirgli semplicemente "Hai torto". Oppure, in caso contrario, "Forse hai ragione". E davanti alla collera di una persona amata: "Mi addolori".
"Hanno troppo da fare per sognare." Così sono i ragazzini troppo docili o le persone troppo zelanti: non osano svignarsela, prendere la porta e andarsene a zonzo.
L'acqua stagnante non gode di buona fama. Velenosa, fetida, ripugnante. Ma a me sembra infinitamente superiore a quell'acqua continuamente riciclata, piena di cloro, che non ci verrebbe mai in mente di toccare, di bere e che, al limite, non vediamo neppure.
Il fascino del passato. Non possiamo più cambiarlo e non mette in agitazione il nostro corpo perché non presenta più pericoli. Questo vale per esempio per l'anteguerra che ci sembra così lontano e a cui facciamo quasi fatica a credere tanto ci pare cieco e stravagante. Ma i nostri contemporanei riattivano il passato e ne temono talmente l'assenza che lo inseriscono per forza nel ciclo della vita.
Non bisogna origliare dietro le porte, non per discrezione ma perché, così facendo, diamo troppa importanza a parole che non sono destinate a noi. Per la stessa ragione non dobbiamo far finta di non sentire o cascheremo dritti nella trappola che volevamo evitare. Bisogna invece fingere di ascoltare e ottenere così pace e felicità.
Avere la fortuna di catturare qualche briciola di conversazione, per caso, in un giardino pubblico, attraverso cespugli che ci nascondono a quelli che stanno parlando. La ghiaia ha la stessa qualità. Grazie a lei sentiamo avvicinarsi i passanti che, senza volere, fanno rumore camminando. I nostri architetti oggi sostituiscono i viali ricoperti di ghiaia con viali asfaltati e i nostri passi sprofondano nel nulla.
Ho sognato di essere abbastanza ricco da andare a morire in Svizzera. Là speravo di sfuggire all'agonia. Sarei stato una luce che si spegne. Ogni giorno, un'infermiera devota mi avrebbe portato a spasso sulla sedia a rotelle e una sera avrei avuto la certezza di vedere per l'ultima volta il lago e le luci sull'altra riva.
Canticchiate. Lasciate ai più dotati la fortuna di cantare alla Scala di Milano. I Don Giovanni dell'opera sono molto spesso Don Giovanni da operetta. Canticchiate come gli apprendisti pasticcieri, le sartine, i soldati in licenza.
Smorzate il vostro sorriso non appena è sorto. Altri rideranno a crepapelle, o meglio, fino a perdere ogni dignità. Oppure, se così vi dice il cuore, sbellicatevi dalle risa, fino a far esplodere i vetri, le maschere delle persone importanti, i rifugi dei potenti.
Ai giardini, per allontanare gli importuni, portate con voi un breviario e fingete di leggerlo, anche se nessuno oggi saprà distinguerlo dal romanzo che ha vinto l'ultimo premio Goncourt e neppure da un tascabile.
Non vogliamo più svenire, anzi, va di moda essere pieni di forze. I nostri vecchi per una disgrazia o una difficoltà svaporavano in una momentanea inesistenza e nella maggior parte dei casi trovavano braccia pronte ad accoglierli.
Quando cerchiamo di conoscere noi stessi viene il momento in cui il fango affiora in superficie. Ditevi allora che si tratta di un'impresa vana e che il soggetto non esiste. Fate piuttosto attenzione a tutte le marionette che compongono il vostro personaggio. Divertitevi a maneggiarle con maggiore abilità. Sistemate meglio il cappello di una di esse, il giustacuore dell'altra. Rallegratevi di poter disporre di un teatro così ricco.
Luoghi molto diversi tra loro mi hanno permesso di calmare i sensi e di non ingozzarmi di vita come un bruto. Quand'ero collegiale, l'infermeria, una volta adulto, l'ospedale, le cappelle nei pomeriggi vuoti, le sale cinematografiche nel mese di agosto, le grotte, purché non vi siano archeologi o speleologi in giro, le foreste, profonde come cattedrali.
Per far nascere la luce in me avevo deciso tutta una serie di cose da evitare. Questo mi permetteva di non incappare in incontri sgraditi e, in realtà, qualunque incontro mi era sgradito. Sono ormai lontani i tempi in cui le vecchie biblioteche di provincia, i dipartimenti più poveri, i musei ci permettevano di respirare a nostro agio, senza essere importunati dal fiato di un altro visitatore.
Ai giardini, dobbiamo mantenere la possibilità di vivere la nostra vedovanza. Siamo sposati e non desideriamo la morte del coniuge. Ci occupiamo dei nostri figli, aiutiamo il più piccolo negli esercizi di matematica, organizziamo il viaggio in Inghilterra della minore. In queste condizioni è difficile mettere la nostra anima a mezz'asta, portare il lutto per gli anni trascorsi, guardare il corteo funebre degli inconsolabili. Quel giardino, con le sue barriere, ce lo permette. Incrociamo altri esseri sperduti, ci scambiamo i nostri dolori.
Ho sognato un mondo improbabile? Come potrei oggi creare uno spazio adatto a me? Una principessa russa può ancora morire di languore in Crimea?
Quando mi capita di riflettere non gioco a fare l'intellettuale. Divento pensoso. I concetti si disperdono in fretta, a causa delle metafore e di strane mescolanze tra l'alto e il basso. Spalanco l'anima per accogliere miriadi d'immagini. Mi sento vicino al pastore che, da un alpeggio, osserva una notte d'estate. Prendo atto dell'immensità e della dispersione di ciò che ha un qualche significato e rinuncio a una navigazione incerta, molto al di sopra dei miei mezzi.

da "Sul buon uso della lentezza - Il ritmo giusto della vita", Il Saggiatore 1998

Aldo Busi, E.A. POE-METTO 6

Mi calmano le parole interiori dei due in me
e le sedie basse di paglia nel sibilo
del mattino mentre l'alloro fa la sua parte
e le ossa scendono a un compromesso per sostenermi;
mi calma la roccia scalata e lo spino nel piede,
il gonfiore degli intestini e la ristrettezza di vedute
guardando la marina, si fa per dire, immensa;
vecchie false bionde vivono fintoignare che coi soldi
possono comprarsi la gioventù degli uomini giovani,
perché non sganciano finché sono in tempo?
perché insistono per essere amate per la personalità
con cui si spalmano gli antisolari, per la sapienza superiore
con cui luccicano come bufale di ottone?
Se guardo bene la natura del mare,
vedo che siamo sempre allo stesso punto
di mediocre infinito: padroni ex schiavi
e schiavi che s'inchinano per diventare padroni.
A nessuno viene in mentre fra i corbezzoli e il cisto
che è sempre la stessa questione sentimentale in ballo:
l'iniqua distribuzione della ricchezza sociale,
i troppi cappelli da spiaggia, le troppe creme dell'una
e i troppi teli e occhiali e noci di cocco sulla schiena
del piccolo ambulante saracino.
Stupidità dei possessori di barche!
la faccia di culo della cosiddetta bela gente! c'è più vita
nel mio rintanarmi ad elastico dentro e fuori il mio guscio
che in questi riti fissi di chi esce per divertirsi.
Inaccettabilità di ciò che ce l'ha fatta a esistere!
mostruosità di chi è riuscito a vivere!
Resta il malessere della notte,
quando la belva amorosa che dorme nella mia persona
sfugge al mio controllo e si abbevera ai luoghi comuni
di chi trova in un altro essere umano un suo compendio,
ma di giorno sto molto bene, non mi manca niente,
non vorrei davvero mai una sola immagine che la mente
prospetta di notte sperando di costringermi a un rimpianto
che non ci sarà mai, anche se a tratti brevissimi
mi dispiace di essere guardato come vorrei esserlo,
in un certissimo modo, solo dalla linea dell'orizzonte
sotto le palpebre dell'aria.
E mentre filo sentimenti sinceri un po' ridicoli
non perdo d'occhio che non ho quasi più capelli
per proteggermi lo scalpo nudo né che l'età, se niente conta
in amore, molto conta e ancor più detrae dalle possibilità
di desiderio d'amore rimasto.
Ma fa niente, questo è stato il mio bel niente
di niente, queste le parole, queste le azioni del mio niente,
non ho mai pensato che vivere servisse a vivere
e nessuna legge del contrappasso verrà ad abbattersi su di me
perché allora sarebbe costretta a darmi qualcosa,
non a togliermela, perché in ciò che succede sul finestrone,
che pure io creo, in questo tempo, che pure io scandisco,
io non ho parte, come un dio o un animale
mai esistito e già morto o lo spirito vagante di una nuvola
che non passa in questo riquadro
che nessuno degli astanti sula terra incornicia
per dirmi chi ero, che c'ero
e che sono stato puntuale
nella retina dei suoi occhi e non confuso,
non scambiato, non costretto a fingere
contorni e volumi e colori che non possiedo,
che ero io dentro questo cielo fuori da quel sole
intorno a questo tempo, e che non ho fatto piagnistei
da letterato sull'amore meritato ma mancato
troppo tardi per tentare il numero
della compassione.
Nessuno ha mai sentito distintamente
il mio grido di rabbia, mentre io di molti ho percepito
anche il borbottio del falso pudore,
ma vorrei che fosse chiaro che la mia rabbia
non è né nuova né recente né verseggiata,
che il mio orgoglio mi ha mangiato inesorabilmente,
ma non ho l'orgoglio nei confronti degli altri, ma fra me e
la mia idea di me,
per farmi fuori lentamente, per assaporarmi meglio
nel sapore di un mio sangue
più d'altrui che se fosse solo d'altri.
Io ho sempre gridato così, anche in età non col sospetto
del vecchio incattivito: che la mia nuvola sia sfilacciata
non conta, perché mai ho temuto di dissolvermi
e venire risucchiato da temporali già stati
neppure quando solcavo meraviglioso
questa pellicola atmosferica chiamata bi-sogno di te.
Ecco cosa volevo fare prima delle 5:
un viaggio temerario nei sogni evaporati
stanotte dalle stanze da letto degli uomini e delle donne,
distillarne l'essenza e metterci dentro anche la mia
rifrangenza
senza farglielo sapere,
perché non sappiano di portare dentro anche me
nel loro film di giornata quando
amando per scherzo verranno riamati per davvero,
quando, sciolte le tensioni e le resistenze, si accarezzeranno,
e quando, di nuovo domani mattina, svegliandosi
sapranno immediatamente a chi dedicare il primo pensiero,
chi, guardati, guardare, perché io non l'ho mai saputo
o non ricordo più, come i più, com'è tanta dolcezza di
pensiero
e che sapore ha l'aria quando la baci
fattasi per te maschio o femmina, carne della tua fame,
midollo della tua sete, pelle del tuo tatto, odore
del tuo olfatto, specchio del tuo bisogno,
io del tuo io.
Buona giornata, o riquadri esultanti di un'umanità
che non avreste se non ve la dessi io, o bei niente del mio
cuor!
Il nulla è come me, pertanto come l'amore è uno stato della
materia come un altro.
E sì: alla marina immensa preferirò sempre
la marina militare,
anche se sono diventato
acqua pensante
l'uomo che mi nuota dentro.

Il rimedio è la povertà, Goffredo Parise

Questa volta non risponderò « ad personam », parlerò a tutti, in particolare però a quei lettori che mi hanno aspramente rimproverato due mie frasi: « I poveri hanno sempre ragione », scritta alcuni mesi fa, e quest'altra: « Il rimedio (di tutto) è la povertà. Tornare indietro? Si, tornare indietro », scritta nel mio ultimo articolo.
Per la prima hanno scritto che sono «un comunista », per la seconda alcuni lettori di sinistra mi accusano di fare il gioco dei ricchi e se la prendono con me per il mio odio per i consumi. Dicono che anche le classi meno abbienti hanno il diritto di «consumare ».
Lettori, chiamiamoli così, di destra, usano la seguente logica: senza consumi non c'è produzione, senza produzione disoccupazione e disastro economico. Da una parte e dall'altra, per ragioni demagogiche o pseudo-economiche, tutti sono d'accordo nel dire che il consumo è benessere, e io rispondo loro con il titolo di questo articolo.
Il nostro Paese si è abituato a credere di essere (non ad essere) troppo ricco. A tutti i livelli sociali, perché i consumi e gli sprechi livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e cosi il senso più profondo e storico di « classe ». Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affannati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante. Lo spettacolo dei ristoranti di massa (specie in provincia) è insopportabile. La quantità di cibo è enorme, altro che aumenti dei prezzi. La nostra « ideologia » nazionale, specialmente nel Nord, è fatta di capannoni pieni di gente che si getta sul cibo. La crisi? Dove si vede la crisi? Le botteghe di stracci (abbigliamento) rigurgitano, se la benzina aumentasse fino a mille lire tutti la comprerebbero ugualmente. Si farebbero scioperi per poter pagare la benzina. Tutti i nostri ideali sembrano concentrati nell'acquisto insensato di oggetti e di cibo. Si parla già di accaparrare cibo e vestiti. Questo è oggi la nostra ideologia. E ora veniamo alla povertà.
***
Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è « comunismo », come credono i miei rozzi obiettori di destra.
Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l'automobile, le motociclette, le famose e cretinissime « barche ».
Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo: cioè saper scegliere bene e minuziosamente ciò che si compra perché necessario, conoscere la qualità, la materia di cui sono fatti gli oggetti necessari. Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione.
Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l'olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro Paese; imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita. Moltissime persone non sanno più distinguere la lana dal nylon, il lino dal cotone, il vitello dal manzo, un cretino da un intelligente, un simpatico da un antipatico perché la nostra sola cultura è l'uniformità piatta e fantomatica dei volti e delle voci e del linguaggio televisivi. Tutto il nostro Paese che fu agricolo e artigiano (cioè colto), non sa più distinguere nulla, non ha educazione elementare delle cose perché non ha più povertà.
Il nostro Paese compra e basta. Si fida in modo idiota di Carosello (vedi Carosello e poi vai a letto, è la nostra preghiera serale) e non dei propri occhi, della propria mente, del proprio palato, delle proprie mani e del proprio denaro. Il nostro Paese è un solo grande mercato di nevrotici tutti uguali, poveri e ricchi, che comprano, comprano, senza conoscere nulla, e poi buttano via e poi ricomprano. Il denaro non è più uno strumento economico, necessario a comprare o a vendere cose utili alla vita, uno strumento da usare con parsimonia e avarizia. No, è qualcosa di astratto e di religioso al tempo stesso, un fine, una investitura, come dire: ho denaro, per comprare roba, come sono bravo, come è riuscita la mia vita, questo denaro deve aumentare, deve cascare dal cielo o dalle banche che fino a ieri lo prestavano in un vortice di mutui (un tempo chiamati debiti) che danno l'illusione della ricchezza e invece sono schiavitù. Il nostro Paese è pieno di gente tutta contenta di contrarre debiti perché la lira si svaluta e dunque i debiti costeranno meno col passare degli anni.
***
II nostro Paese è un'enorme bottega di stracci non necessari (perché sono stracci che vanno di moda), costosissimi e obbligatori. Si mettano bene in testa gli obiettori di sinistra e di destra, gli «etichettati» che etichettano, e che mi scrivono in termini linguistici assolutamente identici, che lo stesso vale per le ideologie. Mai si è avuto tanto spreco di questa parola, ridotta per mancanza di azione ideologica non soltanto a pura fonia, a «flatus vocis» ma, anche quella, a oggetto di consumo superfluo.
I giovani «comprano» ideologia al mercato dagli stracci ideologici cosi come comprano blue jeans al mercato degli stracci sociologici (cioè per obbligo, per dittatura sociale). I ragazzi non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita perché i loro padri l'hanno voluta disprezzare nell'euforia del benessere. I ragazzi sanno che a una certa età (la loro) esistono obblighi sociali e ideologici a cui, naturalmente, è obbligo obbedire, non importa quale sia la loro «qualità », la loro necessità reale, importa la loro diffusione. Ha ragione Pasolini quando parla di nuovo fascismo senza storia. Esiste, nel nauseante mercato del superfluo, anche lo snobismo ideologico e politico (c'è di tutto, vedi l'estremismo) che viene servito e pubblicizzato come l'elite, come la differenza e differenziazione dal mercato ideologico di massa rappresentato dai partiti tradizionali al governo e all'opposizione. L'obbligo mondano impone la « boutique » ideologica e politica, i gruppuscoli, queste cretinerie da Francia 1968, data di nascita del « grand marché aux puces » ideologico e politico di questi anni. Oggi, i più snob ara questi, sono dei criminali indifferenziati, poveri e disperati figli del consumo.
***
La povertà è il contrario di tutto questo: è conoscere le cose per necessità. So di cadere in eresia per la massa ovina dei consumatori di tutto dicendo che povertà è anche salute fisica ed espressione di se stessi e libertà e, in una parola, piacere estetico. Comprare un oggetto perché la qualità della sua materia, la sua forma nello spazio, ci emoziona.
Per le ideologie vale la stessa regola. Scegliere una ideologia perché è più bella (oltre che più «corretta», come dice la linguistica del mercato degli stracci linguistici). Anzi, bella perché giusta e giusta perché conosciuta nella sua qualità reale. La divisa dell'Armata Rossa disegnata da Trotzky nel 1917, l'enorme cappotto di lana di pecora grigioverde, spesso come il feltro, con il berretto a punta e la rozza stella di panno rosso cucita a mano in fronte, non soltanto era giusta (allora) e rivoluzionaria e popolare, era anche bella come non lo è stata nessuna divisa militare sovietica. Perché era povera e necessaria. La povertà, infine, si cominci a impararlo, è un segno distintivo infinitamente più ricco, oggi, della ricchezza. Ma non mettiamola sul mercato anche quella, come i blue jeans con le pezze sul sedere che costano un sacco di soldi. Teniamola come un bene personale, una proprietà privata, appunto una ricchezza, un capitale: il solo capitale nazionale che ormai, ne sono profondamente convinto, salverà il nostro Paese.

Goffredo Parise
Corriere della Sera, 30 giugno 1974

mercoledì 22 giugno 2011

martedì 21 giugno 2011

"Tabaccheria", Fernando Pessoa

Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso voler essere niente.
A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo.

Finestre della mia stanza,
della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi è
(e se sapessero chi è, cosa saprebbero?),
vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente,
su una via inaccessibile a tutti i pensieri,
reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa,
con il mistero delle cose sotto le pietre e gli esseri,
con la morte che porta umidità nelle pareti e capelli bianchi negli uomini,
con il Destino che guida la carretta di tutto sulla via del nulla.

Oggi sono sconfitto, come se conoscessi la verità.
Oggi sono lucido, come se stessi per morire,
e non avessi altra fratellanza con le cose
che un commiato, e questa casa e questo lato della via diventassero
la fila di vagoni di un treno, e una partenza fischiata
da dentro la mia testa,
e una scossa dei miei nervi e uno scricchiolio di ossa nell'avvio.

Oggi sono perplesso come chi ha pensato, trovato e dimenticato.
Oggi sono diviso tra la lealtà che devo
alla Tabaccheria dall'altra parte della strada, come cosa reale dal di fuori,
e alla sensazione che tutto è sogno, come cosa reale dal di dentro.

Sono fallito in tutto.
Ma visto che non avevo nessun proposito, forse tutto è stato niente.
Dall'insegnamento che mi hanno impartito,
sono sceso attraverso la finestra sul retro della casa.
Sono andato in campagna pieno di grandi propositi.
Ma là ho incontrato solo erba e alberi,
e quando c'era, la gente era uguale all'altra.
Mi scosto dalla finestra, siedo su una poltrona. A che devo pensare?
Che so di cosa sarò, io che non so cosa sono?
Essere quel che penso? Ma penso di essere tante cose!
E in tanti pensano di essere la stessa cosa che non possono essercene così tanti!
Genio? In questo momento
centomila cervelli si concepiscono in sogno geni come me,
e la storia non ne rivelerà, chissà?, nemmeno uno,
non ci sarà altro che letame di tante conquiste future.
No, non credo in me.
In tutti i manicomi ci sono pazzi deliranti con tante certezze!
lo, che non possiedo nessuna certezza, sono più sano o meno sano?
No, neppure in me...
in quante mansarde e non-mansarde del mondo
non staranno sognando a quest'ora geni-per-se-stessi?
Quante aspirazioni alte, nobili e lucide -,
sì, veramente alte, nobili e lucide -,
e forse realizzabili,
non verranno mai alla luce del sole reale nè troveranno ascolto?

Il mondo è di chi nasce per conquistarlo
e non di chi sogna di poterlo conquistare, anche se ha ragione.

Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato.
Ho stretto al petto ipotetico più umanità di Cristo.
Ho creato in segreto filosofie che nessun Kant ha scritto.
Ma sono, e forse sarò sempre, quello della mansarda,
anche se non ci abito;
sarò sempre quello che non è nato per questo;
sarò sempre soltanto quello che possedeva delle qualità;
sarò sempre quello che ha atteso che gli aprissero la porta davanti a una parete senza porta,
e ha cantato la canzone dell'Infinito in un pollaio,
e sentito la voce di Dio in un pozzo chiuso.
Credere in me? No, nè in niente.

Che la Natura sparga sulla mia testa scottante
il suo sole, la sua pioggia, il vento che trova i miei capelli,
e il resto venga pure se verrà o dovrà venire, altrimenti non venga.
Schiavi cardiaci delle stelle,
abbiamo conquistato tutto il mondo prima di alzarci dal letto;
ma ci siamo svegliati ed esso è opaco,
ci siamo alzati ed esso è estraneo,
siamo usciti di casa ed esso è la terra intera,
più il sistema solare, la Via Lattea e l'Indefinito.

(Mangia cioccolatini, piccina; mangia cioccolatini!
Guarda che non c'è al mondo altra metafisica che i cioccolatini.
Guarda che tutte le religioni non insegnano altro che la pasticceria.
Mangia, bambina sporca, mangia!
Potessi io mangiare cioccolatini con la stessa concretezza con cui li mangi tu!
Ma io penso e, togliendo la carta argentata, che poi è di stagnola,
butto tutto per terra, come ho buttato la vita.
Ma almeno rimane dell'amarezza di ciò che mai sarà
la calligrafia rapida di questi versi,
portico crollato sull'Impossibile.
Ma almeno consacro a me stesso un disprezzo privo di lacrime,
nobile almeno nell'ampio gesto con cui scaravento
i panni sporchi che io sono, senza lista, nel corso delle cose,
e resto in casa senza camicia.

(Tu, che consoli, che non esisti e perciò consoli,
Dea greca, concepita come una statua viva,
o patrizia romana, impossibilmente nobile e nefasta,
o principessa di trovatori, gentilissima e colorita,
o marchesa del Settecento, scollata e distante,
o celebre cocotte dell'epoca dei nostri padri,
o non so che di moderno - non capisco bene cosa -,
tutto questo, qualsiasi cosa tu sia, se può ispirare che ispiri!
Il mio cuore è un secchio svuotato.
Come quelli che invocano spiriti invoco
me stesso ma non trovo niente.

Mi avvicino alla finestra e vedo la strada con assoluta nitidezza.
Vedo le botteghe, vedo i marciapiedi, vedo le vetture passare,
vedo gli esseri vivi vestiti che s'incrociano,
vedo i cani che anche loro esistono,
e tutto questo mi pesa come una condanna all'esilio,
e tutto questo è straniero, come ogni cosa.
Ho vissuto, studiato, amato, e persino creduto,
e oggi non c'è mendicante che io non invidi solo perchè non è me.
Di ciascuno guardo i cenci e le piaghe e la menzogna,
e penso: magari non ho mai vissuto, nè studiato, nè amato, nè creduto
(perchè si può creare la realtà di tutto questo senza fare nulla di tutto questo);
magari sei solo esistito, come una lucertola cui tagliano la coda
e che è irrequietamente coda al di qua della lucertola.

Ho fatto di me ciò che non ho saputo,
e ciò che avrei potuto fare di me non l'ho fatto.
Il domino che ho indossato era sbagliato.
Mi hanno riconosciuto subito per quello che non ero e non ho smentito, e mi sono perso.
Quando ho voluto togliermi la maschera,
era incollata alla faccia.
Quando l'ho tolta e mi sono guardato allo specchio,
ero già invecchiato.
Ero ubriaco, non sapevo più indossare il domino che non mi ero tolto.
Ho gettato la maschera e dormito nel guardaroba
come un cane tollerato dall'amministrazione
perchè inoffensivo
e scrivo questa storia per dimostrare di essere sublime.
Essenza musicale dei miei versi inutili,
magari potessi incontrarmi come una cosa fatta da me,
e non stessi sempre di fronte alla Tabaccheria qui di fronte,
calpestando la coscienza di esistere,
come un tappeto in cui un ubriaco inciampa
o uno stoino rubato dagli zingari che non valeva niente.

Ma il padrone della Tabaccheria s'è affacciato sulla porta e vi è rimasto.
Lo guardo con il fastidio della testa piegata male
e con il disagio dell'anima che sta intuendo.
Lui morirà ed io morirò.
Lui lascerà l'insegna, io lascerò dei versi.
A un certo momento morirà anche l'insegna, e anche i versi.
Dopo un po' morirà la strada dove fu stata l'insegna,
E la lingua in cui furono scritti i versi.
Morirà poi il pianeta che gira in cui tutto ciò accadde.
In altri satelliti di altri sistemi qualcosa di simile alla gente
continuerà a fare cose simili a versi vivendo sotto cose simili a insegne,
sempre una cosa di fronte all'altra,
sempre una cosa inutile quanto l'altra,
sempre l'impossibile, stupido come il reale,
sempre il mistero del profondo certo come il sonno del mistero della superficie,
sempre questo o sempre qualche altra cosa o nè una cosa nè l'altra.

Ma un uomo è entrato nella Tabaccheria (per comprare tabacco?),
e la realtà plausibile improvvisamente mi crolla addosso.
Mi rialzo energico, convinto, umano,
con l'intenzione di scrivere questi versi per dire il contrario.
Accendo una sigaretta mentre penso di scriverli
e assaporo nella sigaretta la liberazione da ogni pensiero.
Seguo il fumo come se avesse una propria rotta,
e mi godo, in un momento sensitivo e competente
la liberazione da tutte le speculazioni
e la consapevolezza che la metafisica è una conseguenza dell'essere indisposti.

Poi mi allungo sulla sedia
e continuo a fumare.
Finche il Destino me lo concederà, continuerò a fumare.
(Se sposassi la figlia della mia lavandaia
magari sarei felice.)
Considerato questo, mi alzo dalla sedia.
Vado alla finestra.
L'uomo è uscito dalla Tabaccheria (infilando il resto nella tasca dei pantaloni?).
Ah, lo conosco: è Esteves senza metafisica.
(Il padrone della Tabaccheria s'è affacciato all'entrata.)
Come per un istinto divino Esteves s'è voltato e mi ha visto.
Mi ha salutato con un cenno, gli ho gridato Arrivederci Esteves!, e l'universo
mi si è ricostruito senza ideale ne speranza, e il padrone della Tabaccheria ha sorriso.

lunedì 20 giugno 2011

(quando non c'era facebook)

Quando una cosa è nelle mie corde me ne accorgo subito.
Basta un nome, una frase, un suono, un colore, un'immagine, un gesto, un odore.
Basta un senso, o due accordati, o tutti insieme per un secondo a capire che mi piace.
Come un piatto fumante che divori quando hai fame,così sono sicura che quello di cui io ho fame, mi piace ancora prima di gustarlo.
Lo capisco nel momento in cui lo assaggio con i sensi,e comincio ad assaporarlo. Devo ancora aprire il pacchetto ma so già che quello che c'è dentro mi piacerà.
procedo per sinestesie.
Quello di cui ho fame, è quello che è nelle mie corde, quello che fa per me.

-SENSI, percepire. assaggiare. assaporare. gustare. godere di.
e solo dopo
.realizzare. ragionare su. giudicare. confrontare. capire se(trattenere,allontanare,evitare,riprendere,tenere presente,passare ad altro).
EQUILIBRIO-

EVOLUZIONE, purché l'intervallo tra le fasi sia breve.
Perché se non è breve, se è squilibrato da una delle due parti, si rischia di idealizzare o di volgarizzare.
Si rischia il fanatismo.

(scritto giovedì, 06 ottobre 2005)

sabato 18 giugno 2011

Venti minuti, Offlaga Disco Pax



Mio padre è morto dopo 54 anni complicati
e un nome difficile da portare come un sorriso mai segnato da dubbi

non andavamo d'accordo

invecchiando trovo in me particolari di lui, alla mia età di adesso:
qualche segno delle mani, un'espressione allo specchio, un tono di voce

questa cosa non mi piace per niente

da quando se ne è andato ho un'eredità natalizia:

aveva un amico, un milanese conosciuto al servizio militare in Friuli
nei loro vent'anni
era l'inizio degli anni '60 e devono essere stati momenti di grande condivisione
e scoperta del mondo.
Questo tizio io l'ho visto solo due volte, da bambino
gente che aveva più borghesia e più boria di noi
L'ho reincontrato, quell'amico lontano, solo davanti al letto di mio padre morente.

Da allora quell'uomo ha deciso

che io sono mio padre

Ogni anno, la vigilia di Natale, chiama,
parla con me, venti minuti, di cose che non so
e di un periodo in cui non ero ancora nato.
Ha il tono cameratesco che usava con lui
e si sbaglia perfino a chiamarmi per nome.
Mi dice "ti ricordi quello li? quella là?"
esattamente come fossi lui.

Non ho mai condiviso le scelte di mio padre
l'ho odiato cordialmente.
Da sempre.
Ora che non c'è più, sono sereno.
Ho risolto le cose che avevo in sospeso.

Ma ogni anno sento una voce che parla di lui come una persona meravigliosa
e ne parla come non ne ho mai sentito parlare.
Non lo riconosco in quelle storie di amicizia
durata oltre la naturale scadenza.
Resto in silenzio davanti alla devozione di un signore che mi è estraneo.
Che chiama ogni tanto, da molto lontano.
E per pochissimo tempo.

E' una devozione che non è nemmeno paragonabile alla mia.
Che è quasi assente.

Venti minuti.
Non uno di più.

Anche stamattina.
Parla. Racconta. Quasi piange.
Si congeda e mi chiama col suo nome.
Poi si corregge. Mette giù.
Non era con me che voleva parlare.
Non era di me che aveva bisogno.

Mio padre, per tanto tempo,
mi ha telefonato solo una volta all'anno.
La vigilia di Natale.

Era l'unico gesto che si sentiva di fare nei miei riguardi,
vista l'evidente ostilità che gli riservavo.
Quella telefonata, fatta da nove chilometri,
freddi e distanti quanto lo stretto di Bering,
gli costava molto.

Ma non se la negava mai.

Un punto d'onore.

"Ciao figlio, tuo padre sta bene.
Fatti sentire ogni tanto.
Come sta tua madre?
Valla a trovare.
Almeno lei.
Ciao figlio, buon Natale"

Per uno come Metuccio, doveva essere uno sforzo grandissimo.
Ultraterreno.

Talmente grande che ancora non si è esaurito del tutto.

mercoledì 15 giugno 2011

L'unico, Humpty Dumpty



Testo di Stefano Zuccalà:

Oggi non fingerò
oggi non crescerò
ero un bambino sono un bambino
tutto qui è limpido
è pura la mia crudeltà
invento un tempo e mi giustifico
diavolerie, notti e magie per me
ora dirai che sono egotico

Bacio la luna tua
mi svendo mi butto via
e rido, ma che pusillanime
la mia luminosità
è oscura
resto appeso a un'identità non mia
torturo per necessità di natura
ho un capriccio per ogni nostalgia

Sbuccio ginocchia ed irroro la via
sono davvero l'unico
dormo sui libri di filosofia
sono un coglione unico

Oggi ti ucciderò
ideologo stupido
ero un bambino sono un bambino
ora mi annoierò
è idiota la mia crudeltà
il superuomo è un sogno ludico
ostie e poesie, dolci agonie per me
non dirmi mai che sono erotico

Dolce ragazza mia
ti offendo ti butto via
e rido, ma che pusillanime
la mia luminosità
è oscura
ti racconto una vita che non è mia
ti mostro quattro punti di sutura
il dolore è solo una strategia

Consumo polsini ed ignoro la via
soffro perché son lucido
fingo di avere una filosofia
ma sono un silenzio unico

martedì 14 giugno 2011

A festina lente compilation - 14/06/2011

"And my year is a day"


(Photo by Sarah Moon)

HERE

giovedì 9 giugno 2011

martedì 7 giugno 2011

Enzo Del Re, 24 gennaio 1944 - 7 giugno 2011 (Mola di Bari)

Che i semi della resistenza che le migliori persone hanno gettato abbiano trovato più di qualche buco fertile nel terreno del mondo e possano presto germogliare splendenti e forti per devastare di bellezza la merdosa soffocante sterpaglia tossica.



Abbiamo un gran bisogno di voci come lui oggi, che sappiano parlare con quella nobile semplicità al mondo intero. Non al paesino, non alla provincia italiana, non al gruppetto politico né al salottino culturale ma a chiunque in tutto il mondo abbia orecchie per capire e silenzi assordanti da sputare fuori, nella lingua più universale possibile perché vicina al profondo delle radici umane.
Va via un altro degli ultimi Uomini. Un difensore del lavoro come lotta quotidiana in vita, della lentezza come metodo per la vita, della comicità come filosofia della serietà più spietata e vincente.

Qualcun'altro è nato oggi, e la stella di Enzo avrà schiocchiato la lingua (mentre scivolava per chissà dove) affidandogli la memoria di questi valori.

Perdona e dimentica, I Cani

V e r g o g n a t i.

mercoledì 1 giugno 2011

Tommaso Landolfi, "Settimana di sole"

Da "Dialogo dei massimi sistemi" (Adelphi, 1996)

(...)
Nel tardo pomeriggio sono sceso in giardino, c'era una luce dorata d'autunno, e qui ho potuto assistere alla lotta di un bruco e d'una fosforina, in mezzo a foglie d'un verde violento. Non proprio una lotta: la fosforina, dolce e delicata, andava per i fatti suoi e vidi benissimo che fu il bruco ad assalirla; come anche capii subito che avrebbe dovuto soccombere. Il bruco era giallastro, grosso come un pollice, molle e setoloso; la fosforina ombrava tremava e faceva per fuggire, e sempre il bruco le era sopra, guardandola in volto con quei suoi occhi senza luce, tanto che la sola sua presenza tolse alla fosforina ogni forza. Così appunto mio padre, ai bei tempi, mi guardava, e mi girava attorno, se distoglievo la testa, per guardarmi in volto di nuovo, e la sua faccia e i suoi occhi m'erano tanto antipatici, che faceva di me ciò che voleva. E così ha ottenuto sottomissione il bruco dalla fosforina di modo che ha potuto presto lasciarne la spoglia vuota di sangue e allontanarsi con un movimento d'esofago: l'esofago di uno che vomita. Son tornato di sopra disgustato, ho spalancata la finestra della mia camera, la finestra sul giardino, e ho sputato, poi ho orinato, sugli alberi, sulle foglie arrossate, contro il sole: il sole dorava lo zampillo d'orina sfrangiandolo di spruzzi prima che si posasse. "O sole", ho gridato, "sole che mi rimproveri e mi tormenti, sole facciamelensa, indora a tuo piacere, come cavolfiori, le cime delle montagne e i crisantemi dei morti: non uscirò e non farò nulla. Sole che non maturi la ragazzina, che spingi i bruchi ad assalire le fosforine, sole, possa tu per sempre affondare friggendo nel mare come un tizzo spento nella lavatura dei piatti!...". Cioè, avrei voluto, gridare. Stiamo zitti per paura di peggio. Infatti, al solo pensare questa tirata, ho visto il sole, che stava per tramontare, guardarmi un momento come mio padre e poi, essendomi io volto verso oriente inorridito, l'ho visto che si spostava da quella parte per guardarmi ancora. Infine, come Dio ha voluto, è tramontato. Ella era partita, il sole era tramontato: la sera era mia.
(...)

22 ott.
Le nuvole sono arrivate più presto di quanto non credessi: stamane svegliandomi ho visto che tutto il cielo era grigio; del sole neppur l'ombra e c'era un'aria densa e immobile, un silenzio ovattato e profondo. Di queste giornate in casa non si cammina, si nuota: nel mare di fuori chi si avventurerebbe? A proposito, son riuscito ad acchiappare due piccoli silenzi, due silenziotti: hanno una peluria soffice e sono un po' più scuri della madre. Dopo tutto non me la sento più col silenzio, li ho lasciati liberi e loro sono corsi in un angolo della cucina. In soffitta ho scavato, ho scavato e sempre niente. Mah!... ormai sono calmo e contento: "nuoto d'autunno cuore in pace" dice il proverbio che ho inventato in questa occasione.

martedì 31 maggio 2011

EBTG





venerdì 27 maggio 2011

Neighborhood #4 (7 Kettles), The Arcade Fire



I am waitin’ ’til I don’t know when,
cause I’m sure it’s gonna happen then.
Time keeps creepin’ through the neighborhood,
killing old folks, wakin’ up babies just like we knew it would.

All the neighbors are startin’ up a fire,
burning all the old folks the witches and the liars.
My eyes are covered by the hands of my unborn kids,
but my heart keeps watchin’ through the skin of my eyelids.

They say a watched pot won’t ever boil,
well I closed my eyes and nothin’ changed,
just some water getting hotter in the flames.

It’s not a lover I want no more,
and it’s not heaven I’m pining for,
but there’s some spirit I used to know,
that’s been drowned out by the radio!

They say a watched pot won’t ever boil,
you can’t raise a baby on motor oil,
just like a seed down in the soil you gotta give it time

mercoledì 25 maggio 2011

You make it easy, Air



" Never been here - How about you ? "
You smile at my answer,
You've given me the chance,
To be held and understood.
You leave me laughing without crying,
There's no use denying,
For many times I've tried,
Love has never felt as good.
Be it downtown or way up in the air,
When your heart's pounding,
You know that I'm aware.
You make it easy to watch the world with love,
You make it easy to let the past be done,
You make it easy.
How'd you do it ? How'd you find me ?
How did I find you ?
How can this be true ?
To be held and understood.
Keep it coming - no one's running
The lesson I'm learning
'Cause blessings are deserved
By the trust that always could
Be it downtown or way up in the air,
When your heart's pounding,
You know that I'm aware.
You make it easy to watch the world with love,
You make it easy to let the past be done,
You make it easy.
You make it easy to watch the world with love,
You make it easy to let the past be done,
You make it easy.
New star in the sky
My baby blue is a new star,
In the sky,
The world the world the world the world,
Just for you for nobody else.

lunedì 23 maggio 2011

SMania di vivere




Spettacolo di Teatro Danza contro la sclerosi multipla e per la ricerca scientifica, di:

Erica Brindisi (danzatrice e ideatrice del progetto)

Giuse Rossetti (compositore dei brani, regista ed autore dei testi)

Federica Giglio (voce narrante)

Margherita Gargiulo (coautrice dei testi assieme a Giuse Rossetti)

www.smaniadivivere.com

Francesca Woodman



Storia del guanto #5, Roma, bar Fassi, 1977 stampa originale alla gelatina d'argento

domenica 22 maggio 2011

I wish, I wish - Cat Stevens



I wish I knew, I wish I knew
what makes me, me, and what makes you, you.
It's just another point of view, ooo.
A state of mind I'm going through, yes.
So what I see is never true, ahhh.

I wish I could tell, I wish I could tell
what makes a heaven what makes a hell.
And do I get to ring my bell, ooo.
Or land up in some dusty cell, no.
While others reach the big hotel, yeah.

I wish I had, I wish I had
the secret of good, and the secret of bad.
Why does this question drive me mad? ahhh.
'Cause I was taught when but a lad, yes,
That bad was good and good was bad, ahhh.

I wish I knew the mystery of
that thing called hate, and that thing called love.
What makes the in-between so rough? ahhh.
Why is it always push and shove? ahhh
I guess I just don't know enough, yes.

giovedì 19 maggio 2011

"Mollate tutto, di nuovo. Primo manifesto infrarealista" di Roberto Bolaño (1976)

"Da qui ai confini del sistema solare ci sono quattro ore luce; da qui alla stella più vicina, quattro ore luce. Uno smisurato oceano di vuoto. Ma siamo realmente sicuri che sia solo vuoto? Sappiamo solo che in questo spazio non ci sono stelle luminose; se esistessero, sarebbero visibili? E se esistessero corpi non luminosi e oscuri? Non potrebbe succedere nelle mappe celesti, così come in quelle terrestri, che siano indicate le stelle-città e omesse le stelle-paesi?"

-Scrittori sovietici di fantascienza che si graffiano la faccia a mezzanotte.

-Gli infrasoli (Drummond direbbe gli allegri ragazzi proletari).

-Peguero e Boris soli in una camera lumpen a presagire la meraviglia dietro la porta.

-Free Money

*

Chi ha attraversato la città accompagnato solo dalla musica dei fischi dei suoi simili e dalle proprie parole di sorpresa e rabbia?

Il tipo bello che non sapeva

che l'orgasmo delle ragazze è clitorideo
(cercate, non solo nei musei si trova la merda) (Un processo di museificazione individuale) ( Certezza che tutto è nominato, rivelato) (Paura di scoprire) ( paura degli squilibri imprevisti).

*

I nostri parenti più prossimi:

i franchi tiratori, gli abitanti solitari delle pianure che devastano i caffè cinesi dell'America Latina, i macellai nei supermercati con i loro tremendi dilemmi individuo-collettività; l'impotenza dell'azione e la ricerca (a livelli individuali o impantanati in contraddizioni estetiche) dell'azione poetica.

*

Piccole stelle luminose che ci strizzano l'occhio da un luogo dell'universo chiamato I labirinti.

-Dancing Club della miseria.

-Pepito Tequila che singhiozza il suo amore per Lisa Underground.

-Succhiateglielo, sùcchiatelo, succhiamocelo.

-E l'Orrore

*

Cortine d'acqua, cemento o latta, separano un meccanismo culturale che fa da coscienza o culo della classe dominante, in un succedersi culturale vivo, canaglia, in costante morte e nascita, ignorante di gran parte della storia e delle belle arti (creatore quotidiano della sua folle istoria e delle sue allucinanti velle harti), corpo che a un tratto sperimenta su di sé nuove sensazioni, prodotto di un'epoca in cui ci avviciniamo a 200 kmh al cesso o alla rivoluzione.

"Nuove forme, rare forme", come diceva tra il curioso e il sorridente il vecchio Bertolt.

*

Le sensazioni non nascono dal nulla (ovvietà delle ovvietà), ma dalla realtà condizionata, in mille modi, da un costante fluire.

- Realtà multipla, ci fai girare la testa!

Dunque è possibile che da una parte questa sia una nascita e che dall'altra siamo in prima fila per assistere agli ultimi colpi di coda. Forme di vita e forme di morte attraversano quotidianamente la retina. La loro collisione continua dà vita alle forme infrarealiste: L'OCCHIO DELLA TRANSIZIONE

*

Mettete tutta la città in manicomio. Dolce sorella, urlare di carri armati, canzoni ermafrodite, deserti di diamante, solo vivremo una volta e le visioni saranno ogni giorno più grandi e scivolose. Dolce sorella, autostop per Monte Albán. Allacciate le cinture perché si annaffiano i cadaveri. Un problema di meno.

*

E la buona cultura borghese? E l'accademia e gli incendiari? E le avanguardie e le loro retroguardie? E certe concezioni dell'amore, e il bel paesaggio, la Colt precisa e multinazionale?

Come mi disse una volta Saint-Just in un sogno: perfino le teste degli aristocratici possono servirci da armi.

*

-Una buona parte del mondo sta nascendo e un'altra buona parte morendo, e tutti sappiamo che vivremo o moriremo tutti: in questo non ci sono vie di mezzo.
Chirico dice: è necessario che il pensiero si allontani da tutto ciò che si chiama logica e buon senso, che si allontani da tutti gli ostacoli umani in modo che le cose gli appaiano sotto un aspetto nuovo, come illuminate da una costellazione rivelatasi per la prima volta. Gli infrarealisti dicono: buttiamoci a capofitto in tutti gli ostacoli umani, in modo che le cose comincino a muoversi dentro noi stessi, una visione allucinante dell'uomo.

-La Costellazione del Bell'Uccello.

-Gli infrarealisti propongono al mondo l'indigenismo: un indio pazzo e timido.

-Un nuovo lirismo, che in America Latina comincia a crescere, a sostentarsi in modi che non cessano di meravigliarci. L'ingresso nella materia è già ingresso nell'avventura: i versi della poesia come viaggio e il poeta come eroe rivelatore di eroi. La tenerezza come esercizio di velocità. Respirazione e calore. Esperienza a briglia sciolta, strutture che divorano se stesse, contraddizioni pazze.

Se il poeta è immischiato, dovrà immischiarsi anche il lettore.

"libri erotici senza ortografia”

*

Ci precedono le MILLE AVANGUARDIE SMEMBRATE NEGLI ANNI SESSANTA

I 99 fiori aperti come una testa fracassata

I massacri, i nuovi campi di concentramento

I Bianchi fiumi sotterranei, i venti color violetto

Sono tempi duri per la poesia, dicono alcuni, mentre bevono tè, ascoltano musica nei loro dipartimenti, parlano (danno ascolto) ai vecchi maestri. Sono tempi duri per l'uomo, diciamo noi mentre torniamo sulle barricate dopo una giornata piena di merda e gas lacrimogeni, scopriamo/creiamo musica perfino negli appartamenti, guardiamo a lungo i cimiteri-che-si-espandono, dove i vecchi maestri bevono disperatamente una tazza di tè o si ubriacano di pura rabbia o inerzia.

Ci precede HORA ZERO

((Alleva zambo e ti faranno male i calli))

Siamo ancora nel quaternario. Siamo ancora nel quaternario?

Pepito Tequila bacia i capezzoli fosforescenti di Lisa Underground e la vede allontanarsi su una spiaggia da cui spuntano piramidi nere.

*

Ripeto:

il poeta come eroe rivelatore di eroi, come l'albero rosso caduto che annuncia l'inizio del bosco.

-Gli intenti di un'etica-estetica conseguente sono lastricati di tradimenti o di sopravvivenze patetiche.

-E il fatto è che l'individuo potrà anche fare mille chilometri ma alla lunga la strada se lo mangia.

-La nostra etica è la Rivoluzione, la nostra estetica la Vita: una-sola-cosa.

*

Per i borghesi e i piccoli borghesi la vita è una festa continua. Ce n'è una ogni fine settimana. Il proletariato non ha feste. Solo funerali con ritmo. Le cose cambieranno. Gli sfruttati faranno una gran festa. Memoria e ghigliottine. Intuirla, attuarla certe notti, inventarle spigoli e angoli umidi, è come accarezzare gli occhi acidi del nuovo spirito.

*

Spostamento della poesia attraverso le fasi delle rivolte: la poesia che produce poeti che producono poesie che producono poesia. Non un vicolo elettrico / il poeta con le braccia separate dal corpo / la poesia che si sposta lentamente dalla sua Visione alla sua Rivoluzione. Il vicolo è un punto molteplice. "Inventeremo per scoprire la sua contraddizione, le sue forme invisibili di rifiuto, fino a spiegarlo" . Spostamento dell'atto dello scrivere attraverso zone per niente favorevoli all'atto dello scrivere.

Rimbaud, torna a casa!

Sovvertire la realtà quotidiana della poesia attuale. Le concatenazioni che conducono a una realtà circolare della poesia. Un buon riferimento: il pazzo Kurt Schwitters. Lanke trr gll, o, upa kupa arggg, divengono ufficialmente investigatori fonetici che codificano l'ululato. I ponti del Nova Express sono anti-codificanti: lasciate che io grida , lasciate che io grida (per favore, non tirate fuori la matita né un pezzo di carta, non registratelo, se volete partecipare gridate anche voi), e dunque lasciate che io grida, per vedere che faccia fa quando smetto, quale altra cosa incredibile ci tocca vedere.
I nostri ponti fino alle stazioni ignote. La poesia che mette in relazione realtà e irrealtà.

*

Convulsivamente

*

Cosa posso chiedere all'attuale pittura latinoamericana? Cosa posso chiedere al teatro?

Più rivelatore e plastico è fermarsi in un parco demolito dallo smog e vedere la gente che attraversa in gruppi (che si comprimono e si espandono) i viali, quando sia gli automobilisti che i pedoni hanno fretta di tornare nelle loro baracche, ed è l'ora in cui escono gli assassini e le vittime li seguono.

Veramente, quali storie mi raccontano i pittori?

Il vuoto interessante, la fissità della forma e del colore, nel migliore dei casi la parodia del movimento. Quadri che serviranno solo da insegne luminose nelle sale degli ingegneri e dei medici che li collezionano.

Il pittore si colloca in un sociale che ogni giorno è più "pittore" di lui, ed è lì che si ritrova disarmato e assume il ruolo di pagliaccio.

Se Mara si imbatte per la strada in un quadro X, quel quadro acquisisce la categoria di cosa divertente e comunicante; è un salone è così decorativo come le poltrone di ferro del giardino del borghese / questione di retina? / sì e no / però meglio sarebbe trovare (e rischiosamente sistematizzare per un po' di tempo) il fattore detonante, classista, propositivo al cento per cento dell'opera, in giustapposizione con i valori dell'"opera" che la precedono e la condizionano.
-Il pittore abbandona lo studio e QUALUNQUE status quo e si tuffa nella meraviglia / o si mette a giocare a scacchi come Duchamp / Una pittura didattica per la pittura stessa/ E una pittura della povertà, gratuita o abbastanza a buon mercato, incompiuta, di partecipazione, di messa in questione nella partecipazione, di estensioni fisiche e spirituali illimitate.

La pittura migliore dell'America Latina è quella che ancora si fa a livello inconscio, il gioco, la festa, l'esperimento che ci dà una visione reale di quello che siamo e ci rivela quello che possiamo fare, la pittura migliore dell'America Latina è quella che dipingiamo con verdi rossi e azzurri sulle nostre facce, per riconoscerci nella creazione incessante della tribù.

*

Provate a mollare tutto ogni giorno.

Che gli architetti smettano di costruire scenari diretti verso l'interno e aprano le mani (o le chiudano a pugno, a seconda del luogo) verso questo spazio esterno. Un muro e un soffitto acquistano utilità quando non solo servono per dormire o per evitare le piogge ma anche quando stabiliscono, a partire per esempio dall'atto quotidiano del sogno, ponti coscienti tra l'uomo e le sue creazioni, o la loro momentanea impossibilità.

Per l'architettura e la scultura noi infrarealisti partiamo da due punti: la barricata e il letto.

*

La vera immaginazione è quella che fa esplodere, delucida, inietta microbi smeraldo in altre immaginazioni. In poesia e in tutto il resto, l'ingresso nella materia dev'essere già l'ingresso nell'avventura. Creare gli strumenti per la sovversione quotidiana. Le fasi soggettive dell'essere umano, con i loro begli alberi giganteschi e osceni, come laboratori di sperimentazione. Fissare, intravedere situazioni parallele e strazianti come un grande graffio sul petto, sulla faccia. Analogia senza fine dei gesti. Sono così tanti che quando ne appaiono di nuovi nemmeno ce ne rendiamo conto, anche se li stiamo facendo / guardando allo specchio. Notti di tempesta. La percezione si apre mediante un'etica-estetica portata all'estremo.

*

Le galassie dell'amore appaiono sul palmo delle nostre mani.

-Poeti, scioglietevi i capelli (se li avete)

-Bruciate le vostre schifezze e cominciate ad amare finché non arrivate alle poesie incalcolabili

-Non vogliamo dipinti cinetici, ma enormi tramonti cinetici

-Cavalli che corrono a 500 chilometri l'ora

-Scoiattoli di fuoco che saltano su alberi di fuoco

-Una scommessa per vedere chi batte le palpebre per primo, tra il nervosismo e la pasticca di sonnifero

*

Il rischio sta sempre da un'altra parte. Il vero poeta è quello che lascia sempre se stesso alle spalle. Mai troppo tempo in uno stesso posto, come i guerriglieri, come gli ufo, come gli occhi bianchi degli ergastolani.

*

Fusione ed esplosione di due sponde: la creazione come una scritta sul muro decisa e aperta da un bambino pazzo.

Niente di meccanico. Le scale della meraviglia. Qualcuno, forse Hieronymus Bosch, rompe l'acquario dell'amore. Soldi gratis. Dolce sorella. Visioni leggere come cadaveri. Little boys che affettano la carne secca dei baci a dicembre.

*

Alle due del mattino, dopo essere stati a casa di Mara, sentiamo (Mario Santiago e alcuni di noi) delle risate che vengono dall'attico di un palazzo di 9 piani. Non la smettevano, ridevano e ridevano mentre noi di sotto dormivamo appoggiati ad alcune cabine telefoniche. A un certo punto solo Mario continuò a prestare attenzione alle risate (l'attico era un bar gay o qualcosa di simile, e Darío Galicia ci aveva detto che era controllato dalla polizia). Noi telefonavamo ma le monete si facevano d'acqua. Le risate continuavano. Quando ce ne fummo andati da quel quartiere Mario mi disse che in realtà nessuno aveva riso, erano risate registrate, e lassù nell'attico un gruppo ristretto, o forse un solo omosessuale, aveva ascoltato in silenzio il suo disco e ce lo aveva fatto ascoltare.
-La morte del cigno, l'ultimo canto del cigno, l'ultimo canto del cigno nero, NON STANNO nel Bolshoi ma nel dolore e nella bellezza insopportabile delle strade.

-Un arcobaleno che inizia in un cinema malfamato e finisce in una fabbrica in sciopero.

-Che l'amnesia non ci baci mai in bocca. Che non ci baci mai.

-Abbiamo sognato l'utopia e ci siamo svegliati gridando.

-Un povero bovaro solitario che torna a casa, meraviglia.

*

Far apparire le nuove sensazioni - Sovvertire la quotidianità
O.K.

MOLLATE TUTTO, DI NUOVO

PARTITE SULLE STRADE


(Roberto Bolaño, Città del Messico 1976)