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giovedì 3 novembre 2011

Porcile, Pier Paolo Pasolini



domenica 4 settembre 2011

mercoledì 24 agosto 2011

“Le canzoni migliori le scrive la fame”

Nel vento caldo della crisi globale, tra i cali della Borsa e i pugni in alto delle giovani generazioni (e degli esclusi) d'oriente e d'Europa, in giorni italiani di manovra economica e solite code ai caselli, sempre troppo pochi siamo capaci di unirci in protesta fuori da facebook, e questo ormai è ciò che ci rende “italiani”. Eppure ci siamo. Siamo gente di mare-pianura-montagna-collina che se ne va, come un altro anno che quest’estate si porta via, siamo solo cittadini di frontiera che crescono in questo mondo di ladri, che non si arrendono mai. Eppure anche noi percepiamo la fame (di giustizia, di cambiamento, di rispetto), e in qualche modo troviamo ogni giorno nutrimento a tamponarla. Probabilmente sarà quando il peggio – di chi aspettiamo ma non c’è a sostenerci - sarà evidente (quando la somma di tutti i peggio e meno peggio mostrerà il suo volto) che sapremo davvero amare il sintomo e lo stimolo della fame.
Circa un mesetto fa è nata La Fame Dischi, che QUI si presenta così: “Le canzoni migliori le scrive La Fame”. Una frase direi proprio bella nella sua affatto scontata urgenza espressiva. Etichetta oltre l’etichetta, La Fame si propone come catalizzatrice di giovani musicisti ( dei 25 anni) squattrinati che vogliono fare musica nonostante il lavoro che non c’è e nonostante oggi sono qui e domani là; di quelli che (pur consapevoli delle difficoltà che può comportare in termini sociali dire no a happy hour e aperitivi studenteschi, e di appartenere al peso culturale morto dell’Italia che legge almeno 4 libri all’anno*) adesso hanno fame di musica e di canzoni e basta, e di quelli che probabilmente non accettano questo momento storico in cui a contare nelle scelte sono sempre i più arroganti ed egoisti (e fieri di esserlo). Cioè quelli che non si sazieranno mai.

Secondo noi questo stato di insofferenza legata all’insicurezza, dona all’arte autenticità e bellezza. Quando un artista ha lo stomaco pieno, ha raggiunto il successo o quanto meno una certa stabilità, e non è più in grado (o lo è molto meno) di raccontare la realtà”.

E’ già online sul sito “Pà Pà”, primo singolo – anticipatore del primo ep ufficiale – di Marazzita, cantautore 25enne calabrese che si diverte raccontando le sue malinconie da fuorisede con la chitarra in mano.

*per dire, senza grosse pretese.

sabato 16 luglio 2011

Scimmie da amare, 1991-2011



Un'idea di AnnaritaFavilla
Montaggio di MadambraPuppets

Thanks to Hiroscimmia per la loro "Scimmie da amare" (da i Like Gazebo Vol. B, Cacca Dischi 2011)

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Brindisi, 25 febbraio 1991 e Bari, 8 agosto 1991
-- 20 ANNI DOPO -
Lampedusa, marzo 2011

Roberto Maroni, Ministro dell'Interno (Lega): «C'è il rischio di una vera e propria emergenza umanitaria. Ci sono cittadini in cerca di protezione, ci sono criminali evasi dalle carceri e personaggi infiltrati da organizzazioni terroristiche come Alqueda nel Maghreb Islam. Una organizzazione che cerca di infiltrare agenti in Europa» ha spiegato il ministro, aggiungendo che il problema verrà posto all'attenzione della Ue anche per i «riflessi sulla sicurezza interna in Europa».

Di seguito alcuni tra i commenti degli utenti ai video degli sbarchi a Lampedusa su yuotube (non ho fatto nessuna particolare selezione, purtroppo i commenti sono tutti su questo genere):

- risolviamo il problema immigrati a Lampedusa. Firmiamo una petizione affinché il Governo ceda Lampedusa alla Tunisia, così ci togliamo dai coglioni questi cazzo di rompicoglioni.

- mandateli indietro perchè qui non c'è trippa per gatti, altrimenti noi italiani chiederemo asilo politico alla tunisia. forse lì verremo più accolti visto che il ns governo non ci tutela sia a lavoro che a diritti vari.

- Non c'è posto per questa gente in Europa.

- Il cuore è un "accesso" ma la ragione è la "MISURA",ed io credo che la cittadella Europa sia oggi una storica CALAMITA per le civiltà del mondo non-sviluppato. Mi ricorda la rivoluzione industriale ed il rapporto Città-Campagne. Ma la Storia non si ripete, e la RAGIONE deve essere Misura. Le DEMO-proporzioni prevedibili nel tempo, dell'impatto europeo con le "periferie" etno-satellitari - ricordo che l'Italia ha 299 ab.per kmq - sono fuori ogni "MISURA" ed è bene che lo comprendiamo da subito!

- dovè il napalm quando serve?

- Ma come, prima manifestano per la democrazia e quando la ottengono scappano??? Ma scappano da che cosa??? Secondo me vengono in Italia solo per spacciare droga e stuprare, ricacciamoli a calci in culo in Africa e subito!

‎- dato che loro ci invadono,,,facciamo la stessa cosa anche noi. invadiamo la libia e becchiamoci il loro petrolio,,,,,per lo meno pagheremo 20 centesimi al litro la benzina di merda che e tremonti cela fanno pagare 1,65 al litro ....ladriiiiiii !!!!
I musulmani sono solo buoni a portare casini nella nostra nazione. Una societa' sepolta nell' inmomdizia dell' inmoralita' e della perversione: porci che camminano e non raggionano, se non sul come fregare il propio simile e sulla marca da drinketto da scolari. Non ci sono musulmani buoni ma solo furbi.

- Scusate ma se siamo tutti d'accordo a mandarli a fare in culo perchè i politici non fanno quello che vuole la gente? Hanno fatto la loro bella rivoluzione del cazzo per la libertà e poi scappano....Dico che sinistra, destra, e lega ci stanno prendendo per il culo...perchè a Malta se vedono un barcone gli sparano e noi no? Ribelliamoci!

- tunisini codardi. hanno la possibilità di costruire la democrazia nel loro paese e invece scappano. TUNISINI CODARDI!

- tutta ciccia x gay. si salvi ki può !!

- oggi anno gia iniziato a lamentarsi...LAMENTARSIIII​I!!!¬! allora perche non tornate la da dove siete arrivati? loro scappano dalla guerra ma dico LA PORTERANNO QUI dA NOI LA GUERRA perche è nel loro modo di fare e sempre lo faranno...

- ELIMINAZIONE!!

- Mandateli a Fanculo al loro paese a calci in culo! che gia di delinquenti ne abbiamo abbastanza!!!! e se noi andiamo nei loro paesi ci fanno la pelle!!!! Italia popolo di ignoranti e Leccaculi!

- no guarda io direi di aprire un lagher e bruciarli vivi tutti, così nn ci disturbiamo neppure a rimandarli indietro ke ne dici??

- fuciliamoli sti bastardi islamici maomettiani pedofili e buttiamogli un belconfetto atomico a sti cazzo di inzivuzi

- Sparategli ai barconi Ca**o!!! Ma che credono di trovare qui in Italia??? Ma quanto rincoglioniti siamo!!! Italia, inizi a schifarmi sempre di più!!! Sono degli animali!!! E in più l'Italia gli ha consegnato delle villette a schiera per accoglierli!!! Spero entro breve succeda qlc di grosso contro sto schifo!!! Voglio essere presente al cambiamento!!!

migrantiiiiii...PRRRRRRRRR​RRRR¬RRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR​RRRRRRRRR-RRRRRRRRRRRRRRRR​RRRRRRRRRRRRRR-RRRRRRRRRRR​RRRRRRRRRRRRRRRRRRR-RRRRRR​RRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR-R​RRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR​RRR-RRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR​RRRRRRRR-RRRRRRRRRRRRRRRRR​RRRRRRRRRRRRR¬RRRRRRRRRRRR​RRRRRR

- alle donne di quella razza..andate a sgravare a fanculo voi e i vostri figli

- La povertà dunque si è generata negli ultimi giorni.....Guarda , vai a farti benedire dalla Caritas che è l' unica , insieme a te che apprezza questi animali . Imbecille.

mercoledì 29 giugno 2011

Il rimedio è la povertà, Goffredo Parise

Questa volta non risponderò « ad personam », parlerò a tutti, in particolare però a quei lettori che mi hanno aspramente rimproverato due mie frasi: « I poveri hanno sempre ragione », scritta alcuni mesi fa, e quest'altra: « Il rimedio (di tutto) è la povertà. Tornare indietro? Si, tornare indietro », scritta nel mio ultimo articolo.
Per la prima hanno scritto che sono «un comunista », per la seconda alcuni lettori di sinistra mi accusano di fare il gioco dei ricchi e se la prendono con me per il mio odio per i consumi. Dicono che anche le classi meno abbienti hanno il diritto di «consumare ».
Lettori, chiamiamoli così, di destra, usano la seguente logica: senza consumi non c'è produzione, senza produzione disoccupazione e disastro economico. Da una parte e dall'altra, per ragioni demagogiche o pseudo-economiche, tutti sono d'accordo nel dire che il consumo è benessere, e io rispondo loro con il titolo di questo articolo.
Il nostro Paese si è abituato a credere di essere (non ad essere) troppo ricco. A tutti i livelli sociali, perché i consumi e gli sprechi livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e cosi il senso più profondo e storico di « classe ». Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affannati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante. Lo spettacolo dei ristoranti di massa (specie in provincia) è insopportabile. La quantità di cibo è enorme, altro che aumenti dei prezzi. La nostra « ideologia » nazionale, specialmente nel Nord, è fatta di capannoni pieni di gente che si getta sul cibo. La crisi? Dove si vede la crisi? Le botteghe di stracci (abbigliamento) rigurgitano, se la benzina aumentasse fino a mille lire tutti la comprerebbero ugualmente. Si farebbero scioperi per poter pagare la benzina. Tutti i nostri ideali sembrano concentrati nell'acquisto insensato di oggetti e di cibo. Si parla già di accaparrare cibo e vestiti. Questo è oggi la nostra ideologia. E ora veniamo alla povertà.
***
Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è « comunismo », come credono i miei rozzi obiettori di destra.
Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l'automobile, le motociclette, le famose e cretinissime « barche ».
Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo: cioè saper scegliere bene e minuziosamente ciò che si compra perché necessario, conoscere la qualità, la materia di cui sono fatti gli oggetti necessari. Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione.
Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l'olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro Paese; imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita. Moltissime persone non sanno più distinguere la lana dal nylon, il lino dal cotone, il vitello dal manzo, un cretino da un intelligente, un simpatico da un antipatico perché la nostra sola cultura è l'uniformità piatta e fantomatica dei volti e delle voci e del linguaggio televisivi. Tutto il nostro Paese che fu agricolo e artigiano (cioè colto), non sa più distinguere nulla, non ha educazione elementare delle cose perché non ha più povertà.
Il nostro Paese compra e basta. Si fida in modo idiota di Carosello (vedi Carosello e poi vai a letto, è la nostra preghiera serale) e non dei propri occhi, della propria mente, del proprio palato, delle proprie mani e del proprio denaro. Il nostro Paese è un solo grande mercato di nevrotici tutti uguali, poveri e ricchi, che comprano, comprano, senza conoscere nulla, e poi buttano via e poi ricomprano. Il denaro non è più uno strumento economico, necessario a comprare o a vendere cose utili alla vita, uno strumento da usare con parsimonia e avarizia. No, è qualcosa di astratto e di religioso al tempo stesso, un fine, una investitura, come dire: ho denaro, per comprare roba, come sono bravo, come è riuscita la mia vita, questo denaro deve aumentare, deve cascare dal cielo o dalle banche che fino a ieri lo prestavano in un vortice di mutui (un tempo chiamati debiti) che danno l'illusione della ricchezza e invece sono schiavitù. Il nostro Paese è pieno di gente tutta contenta di contrarre debiti perché la lira si svaluta e dunque i debiti costeranno meno col passare degli anni.
***
II nostro Paese è un'enorme bottega di stracci non necessari (perché sono stracci che vanno di moda), costosissimi e obbligatori. Si mettano bene in testa gli obiettori di sinistra e di destra, gli «etichettati» che etichettano, e che mi scrivono in termini linguistici assolutamente identici, che lo stesso vale per le ideologie. Mai si è avuto tanto spreco di questa parola, ridotta per mancanza di azione ideologica non soltanto a pura fonia, a «flatus vocis» ma, anche quella, a oggetto di consumo superfluo.
I giovani «comprano» ideologia al mercato dagli stracci ideologici cosi come comprano blue jeans al mercato degli stracci sociologici (cioè per obbligo, per dittatura sociale). I ragazzi non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita perché i loro padri l'hanno voluta disprezzare nell'euforia del benessere. I ragazzi sanno che a una certa età (la loro) esistono obblighi sociali e ideologici a cui, naturalmente, è obbligo obbedire, non importa quale sia la loro «qualità », la loro necessità reale, importa la loro diffusione. Ha ragione Pasolini quando parla di nuovo fascismo senza storia. Esiste, nel nauseante mercato del superfluo, anche lo snobismo ideologico e politico (c'è di tutto, vedi l'estremismo) che viene servito e pubblicizzato come l'elite, come la differenza e differenziazione dal mercato ideologico di massa rappresentato dai partiti tradizionali al governo e all'opposizione. L'obbligo mondano impone la « boutique » ideologica e politica, i gruppuscoli, queste cretinerie da Francia 1968, data di nascita del « grand marché aux puces » ideologico e politico di questi anni. Oggi, i più snob ara questi, sono dei criminali indifferenziati, poveri e disperati figli del consumo.
***
La povertà è il contrario di tutto questo: è conoscere le cose per necessità. So di cadere in eresia per la massa ovina dei consumatori di tutto dicendo che povertà è anche salute fisica ed espressione di se stessi e libertà e, in una parola, piacere estetico. Comprare un oggetto perché la qualità della sua materia, la sua forma nello spazio, ci emoziona.
Per le ideologie vale la stessa regola. Scegliere una ideologia perché è più bella (oltre che più «corretta», come dice la linguistica del mercato degli stracci linguistici). Anzi, bella perché giusta e giusta perché conosciuta nella sua qualità reale. La divisa dell'Armata Rossa disegnata da Trotzky nel 1917, l'enorme cappotto di lana di pecora grigioverde, spesso come il feltro, con il berretto a punta e la rozza stella di panno rosso cucita a mano in fronte, non soltanto era giusta (allora) e rivoluzionaria e popolare, era anche bella come non lo è stata nessuna divisa militare sovietica. Perché era povera e necessaria. La povertà, infine, si cominci a impararlo, è un segno distintivo infinitamente più ricco, oggi, della ricchezza. Ma non mettiamola sul mercato anche quella, come i blue jeans con le pezze sul sedere che costano un sacco di soldi. Teniamola come un bene personale, una proprietà privata, appunto una ricchezza, un capitale: il solo capitale nazionale che ormai, ne sono profondamente convinto, salverà il nostro Paese.

Goffredo Parise
Corriere della Sera, 30 giugno 1974

lunedì 20 giugno 2011

(quando non c'era facebook)

Quando una cosa è nelle mie corde me ne accorgo subito.
Basta un nome, una frase, un suono, un colore, un'immagine, un gesto, un odore.
Basta un senso, o due accordati, o tutti insieme per un secondo a capire che mi piace.
Come un piatto fumante che divori quando hai fame,così sono sicura che quello di cui io ho fame, mi piace ancora prima di gustarlo.
Lo capisco nel momento in cui lo assaggio con i sensi,e comincio ad assaporarlo. Devo ancora aprire il pacchetto ma so già che quello che c'è dentro mi piacerà.
procedo per sinestesie.
Quello di cui ho fame, è quello che è nelle mie corde, quello che fa per me.

-SENSI, percepire. assaggiare. assaporare. gustare. godere di.
e solo dopo
.realizzare. ragionare su. giudicare. confrontare. capire se(trattenere,allontanare,evitare,riprendere,tenere presente,passare ad altro).
EQUILIBRIO-

EVOLUZIONE, purché l'intervallo tra le fasi sia breve.
Perché se non è breve, se è squilibrato da una delle due parti, si rischia di idealizzare o di volgarizzare.
Si rischia il fanatismo.

(scritto giovedì, 06 ottobre 2005)

giovedì 19 maggio 2011

"Mollate tutto, di nuovo. Primo manifesto infrarealista" di Roberto Bolaño (1976)

"Da qui ai confini del sistema solare ci sono quattro ore luce; da qui alla stella più vicina, quattro ore luce. Uno smisurato oceano di vuoto. Ma siamo realmente sicuri che sia solo vuoto? Sappiamo solo che in questo spazio non ci sono stelle luminose; se esistessero, sarebbero visibili? E se esistessero corpi non luminosi e oscuri? Non potrebbe succedere nelle mappe celesti, così come in quelle terrestri, che siano indicate le stelle-città e omesse le stelle-paesi?"

-Scrittori sovietici di fantascienza che si graffiano la faccia a mezzanotte.

-Gli infrasoli (Drummond direbbe gli allegri ragazzi proletari).

-Peguero e Boris soli in una camera lumpen a presagire la meraviglia dietro la porta.

-Free Money

*

Chi ha attraversato la città accompagnato solo dalla musica dei fischi dei suoi simili e dalle proprie parole di sorpresa e rabbia?

Il tipo bello che non sapeva

che l'orgasmo delle ragazze è clitorideo
(cercate, non solo nei musei si trova la merda) (Un processo di museificazione individuale) ( Certezza che tutto è nominato, rivelato) (Paura di scoprire) ( paura degli squilibri imprevisti).

*

I nostri parenti più prossimi:

i franchi tiratori, gli abitanti solitari delle pianure che devastano i caffè cinesi dell'America Latina, i macellai nei supermercati con i loro tremendi dilemmi individuo-collettività; l'impotenza dell'azione e la ricerca (a livelli individuali o impantanati in contraddizioni estetiche) dell'azione poetica.

*

Piccole stelle luminose che ci strizzano l'occhio da un luogo dell'universo chiamato I labirinti.

-Dancing Club della miseria.

-Pepito Tequila che singhiozza il suo amore per Lisa Underground.

-Succhiateglielo, sùcchiatelo, succhiamocelo.

-E l'Orrore

*

Cortine d'acqua, cemento o latta, separano un meccanismo culturale che fa da coscienza o culo della classe dominante, in un succedersi culturale vivo, canaglia, in costante morte e nascita, ignorante di gran parte della storia e delle belle arti (creatore quotidiano della sua folle istoria e delle sue allucinanti velle harti), corpo che a un tratto sperimenta su di sé nuove sensazioni, prodotto di un'epoca in cui ci avviciniamo a 200 kmh al cesso o alla rivoluzione.

"Nuove forme, rare forme", come diceva tra il curioso e il sorridente il vecchio Bertolt.

*

Le sensazioni non nascono dal nulla (ovvietà delle ovvietà), ma dalla realtà condizionata, in mille modi, da un costante fluire.

- Realtà multipla, ci fai girare la testa!

Dunque è possibile che da una parte questa sia una nascita e che dall'altra siamo in prima fila per assistere agli ultimi colpi di coda. Forme di vita e forme di morte attraversano quotidianamente la retina. La loro collisione continua dà vita alle forme infrarealiste: L'OCCHIO DELLA TRANSIZIONE

*

Mettete tutta la città in manicomio. Dolce sorella, urlare di carri armati, canzoni ermafrodite, deserti di diamante, solo vivremo una volta e le visioni saranno ogni giorno più grandi e scivolose. Dolce sorella, autostop per Monte Albán. Allacciate le cinture perché si annaffiano i cadaveri. Un problema di meno.

*

E la buona cultura borghese? E l'accademia e gli incendiari? E le avanguardie e le loro retroguardie? E certe concezioni dell'amore, e il bel paesaggio, la Colt precisa e multinazionale?

Come mi disse una volta Saint-Just in un sogno: perfino le teste degli aristocratici possono servirci da armi.

*

-Una buona parte del mondo sta nascendo e un'altra buona parte morendo, e tutti sappiamo che vivremo o moriremo tutti: in questo non ci sono vie di mezzo.
Chirico dice: è necessario che il pensiero si allontani da tutto ciò che si chiama logica e buon senso, che si allontani da tutti gli ostacoli umani in modo che le cose gli appaiano sotto un aspetto nuovo, come illuminate da una costellazione rivelatasi per la prima volta. Gli infrarealisti dicono: buttiamoci a capofitto in tutti gli ostacoli umani, in modo che le cose comincino a muoversi dentro noi stessi, una visione allucinante dell'uomo.

-La Costellazione del Bell'Uccello.

-Gli infrarealisti propongono al mondo l'indigenismo: un indio pazzo e timido.

-Un nuovo lirismo, che in America Latina comincia a crescere, a sostentarsi in modi che non cessano di meravigliarci. L'ingresso nella materia è già ingresso nell'avventura: i versi della poesia come viaggio e il poeta come eroe rivelatore di eroi. La tenerezza come esercizio di velocità. Respirazione e calore. Esperienza a briglia sciolta, strutture che divorano se stesse, contraddizioni pazze.

Se il poeta è immischiato, dovrà immischiarsi anche il lettore.

"libri erotici senza ortografia”

*

Ci precedono le MILLE AVANGUARDIE SMEMBRATE NEGLI ANNI SESSANTA

I 99 fiori aperti come una testa fracassata

I massacri, i nuovi campi di concentramento

I Bianchi fiumi sotterranei, i venti color violetto

Sono tempi duri per la poesia, dicono alcuni, mentre bevono tè, ascoltano musica nei loro dipartimenti, parlano (danno ascolto) ai vecchi maestri. Sono tempi duri per l'uomo, diciamo noi mentre torniamo sulle barricate dopo una giornata piena di merda e gas lacrimogeni, scopriamo/creiamo musica perfino negli appartamenti, guardiamo a lungo i cimiteri-che-si-espandono, dove i vecchi maestri bevono disperatamente una tazza di tè o si ubriacano di pura rabbia o inerzia.

Ci precede HORA ZERO

((Alleva zambo e ti faranno male i calli))

Siamo ancora nel quaternario. Siamo ancora nel quaternario?

Pepito Tequila bacia i capezzoli fosforescenti di Lisa Underground e la vede allontanarsi su una spiaggia da cui spuntano piramidi nere.

*

Ripeto:

il poeta come eroe rivelatore di eroi, come l'albero rosso caduto che annuncia l'inizio del bosco.

-Gli intenti di un'etica-estetica conseguente sono lastricati di tradimenti o di sopravvivenze patetiche.

-E il fatto è che l'individuo potrà anche fare mille chilometri ma alla lunga la strada se lo mangia.

-La nostra etica è la Rivoluzione, la nostra estetica la Vita: una-sola-cosa.

*

Per i borghesi e i piccoli borghesi la vita è una festa continua. Ce n'è una ogni fine settimana. Il proletariato non ha feste. Solo funerali con ritmo. Le cose cambieranno. Gli sfruttati faranno una gran festa. Memoria e ghigliottine. Intuirla, attuarla certe notti, inventarle spigoli e angoli umidi, è come accarezzare gli occhi acidi del nuovo spirito.

*

Spostamento della poesia attraverso le fasi delle rivolte: la poesia che produce poeti che producono poesie che producono poesia. Non un vicolo elettrico / il poeta con le braccia separate dal corpo / la poesia che si sposta lentamente dalla sua Visione alla sua Rivoluzione. Il vicolo è un punto molteplice. "Inventeremo per scoprire la sua contraddizione, le sue forme invisibili di rifiuto, fino a spiegarlo" . Spostamento dell'atto dello scrivere attraverso zone per niente favorevoli all'atto dello scrivere.

Rimbaud, torna a casa!

Sovvertire la realtà quotidiana della poesia attuale. Le concatenazioni che conducono a una realtà circolare della poesia. Un buon riferimento: il pazzo Kurt Schwitters. Lanke trr gll, o, upa kupa arggg, divengono ufficialmente investigatori fonetici che codificano l'ululato. I ponti del Nova Express sono anti-codificanti: lasciate che io grida , lasciate che io grida (per favore, non tirate fuori la matita né un pezzo di carta, non registratelo, se volete partecipare gridate anche voi), e dunque lasciate che io grida, per vedere che faccia fa quando smetto, quale altra cosa incredibile ci tocca vedere.
I nostri ponti fino alle stazioni ignote. La poesia che mette in relazione realtà e irrealtà.

*

Convulsivamente

*

Cosa posso chiedere all'attuale pittura latinoamericana? Cosa posso chiedere al teatro?

Più rivelatore e plastico è fermarsi in un parco demolito dallo smog e vedere la gente che attraversa in gruppi (che si comprimono e si espandono) i viali, quando sia gli automobilisti che i pedoni hanno fretta di tornare nelle loro baracche, ed è l'ora in cui escono gli assassini e le vittime li seguono.

Veramente, quali storie mi raccontano i pittori?

Il vuoto interessante, la fissità della forma e del colore, nel migliore dei casi la parodia del movimento. Quadri che serviranno solo da insegne luminose nelle sale degli ingegneri e dei medici che li collezionano.

Il pittore si colloca in un sociale che ogni giorno è più "pittore" di lui, ed è lì che si ritrova disarmato e assume il ruolo di pagliaccio.

Se Mara si imbatte per la strada in un quadro X, quel quadro acquisisce la categoria di cosa divertente e comunicante; è un salone è così decorativo come le poltrone di ferro del giardino del borghese / questione di retina? / sì e no / però meglio sarebbe trovare (e rischiosamente sistematizzare per un po' di tempo) il fattore detonante, classista, propositivo al cento per cento dell'opera, in giustapposizione con i valori dell'"opera" che la precedono e la condizionano.
-Il pittore abbandona lo studio e QUALUNQUE status quo e si tuffa nella meraviglia / o si mette a giocare a scacchi come Duchamp / Una pittura didattica per la pittura stessa/ E una pittura della povertà, gratuita o abbastanza a buon mercato, incompiuta, di partecipazione, di messa in questione nella partecipazione, di estensioni fisiche e spirituali illimitate.

La pittura migliore dell'America Latina è quella che ancora si fa a livello inconscio, il gioco, la festa, l'esperimento che ci dà una visione reale di quello che siamo e ci rivela quello che possiamo fare, la pittura migliore dell'America Latina è quella che dipingiamo con verdi rossi e azzurri sulle nostre facce, per riconoscerci nella creazione incessante della tribù.

*

Provate a mollare tutto ogni giorno.

Che gli architetti smettano di costruire scenari diretti verso l'interno e aprano le mani (o le chiudano a pugno, a seconda del luogo) verso questo spazio esterno. Un muro e un soffitto acquistano utilità quando non solo servono per dormire o per evitare le piogge ma anche quando stabiliscono, a partire per esempio dall'atto quotidiano del sogno, ponti coscienti tra l'uomo e le sue creazioni, o la loro momentanea impossibilità.

Per l'architettura e la scultura noi infrarealisti partiamo da due punti: la barricata e il letto.

*

La vera immaginazione è quella che fa esplodere, delucida, inietta microbi smeraldo in altre immaginazioni. In poesia e in tutto il resto, l'ingresso nella materia dev'essere già l'ingresso nell'avventura. Creare gli strumenti per la sovversione quotidiana. Le fasi soggettive dell'essere umano, con i loro begli alberi giganteschi e osceni, come laboratori di sperimentazione. Fissare, intravedere situazioni parallele e strazianti come un grande graffio sul petto, sulla faccia. Analogia senza fine dei gesti. Sono così tanti che quando ne appaiono di nuovi nemmeno ce ne rendiamo conto, anche se li stiamo facendo / guardando allo specchio. Notti di tempesta. La percezione si apre mediante un'etica-estetica portata all'estremo.

*

Le galassie dell'amore appaiono sul palmo delle nostre mani.

-Poeti, scioglietevi i capelli (se li avete)

-Bruciate le vostre schifezze e cominciate ad amare finché non arrivate alle poesie incalcolabili

-Non vogliamo dipinti cinetici, ma enormi tramonti cinetici

-Cavalli che corrono a 500 chilometri l'ora

-Scoiattoli di fuoco che saltano su alberi di fuoco

-Una scommessa per vedere chi batte le palpebre per primo, tra il nervosismo e la pasticca di sonnifero

*

Il rischio sta sempre da un'altra parte. Il vero poeta è quello che lascia sempre se stesso alle spalle. Mai troppo tempo in uno stesso posto, come i guerriglieri, come gli ufo, come gli occhi bianchi degli ergastolani.

*

Fusione ed esplosione di due sponde: la creazione come una scritta sul muro decisa e aperta da un bambino pazzo.

Niente di meccanico. Le scale della meraviglia. Qualcuno, forse Hieronymus Bosch, rompe l'acquario dell'amore. Soldi gratis. Dolce sorella. Visioni leggere come cadaveri. Little boys che affettano la carne secca dei baci a dicembre.

*

Alle due del mattino, dopo essere stati a casa di Mara, sentiamo (Mario Santiago e alcuni di noi) delle risate che vengono dall'attico di un palazzo di 9 piani. Non la smettevano, ridevano e ridevano mentre noi di sotto dormivamo appoggiati ad alcune cabine telefoniche. A un certo punto solo Mario continuò a prestare attenzione alle risate (l'attico era un bar gay o qualcosa di simile, e Darío Galicia ci aveva detto che era controllato dalla polizia). Noi telefonavamo ma le monete si facevano d'acqua. Le risate continuavano. Quando ce ne fummo andati da quel quartiere Mario mi disse che in realtà nessuno aveva riso, erano risate registrate, e lassù nell'attico un gruppo ristretto, o forse un solo omosessuale, aveva ascoltato in silenzio il suo disco e ce lo aveva fatto ascoltare.
-La morte del cigno, l'ultimo canto del cigno, l'ultimo canto del cigno nero, NON STANNO nel Bolshoi ma nel dolore e nella bellezza insopportabile delle strade.

-Un arcobaleno che inizia in un cinema malfamato e finisce in una fabbrica in sciopero.

-Che l'amnesia non ci baci mai in bocca. Che non ci baci mai.

-Abbiamo sognato l'utopia e ci siamo svegliati gridando.

-Un povero bovaro solitario che torna a casa, meraviglia.

*

Far apparire le nuove sensazioni - Sovvertire la quotidianità
O.K.

MOLLATE TUTTO, DI NUOVO

PARTITE SULLE STRADE


(Roberto Bolaño, Città del Messico 1976)

sabato 7 maggio 2011

Celebrazioni per un tempo finito, Giuseppe Genna (II)

Da "Assalto a un tempo devastato e vile", 2001

Io non credo a nulla, perciò tutto è possibile per me. La falsa vita, con cui hanno creduto di nascondermi l’autentica sopravvivenza colla quale devo fare i conti quotidianamente, non esercita alcun fastidio né credito su di me. Sono disposto ad abbandonarla subito, purché mi venga garantita la possibilità di sputare in faccia ai Maggiordomi di ogni latitudine ed estrazione. Io sono un proletario arrabbiato che non solo non possiede i mezzi della produzione, ma neppure desidera una simile sciagura. Non voglio lavorare ad altro se non alla costruzione di stati estremi di fedeltà a me stesso, al mondo che sogno e alle persone che amo. Ho imparato a diffidare persino dei miei più intimi desideri. Figuriamoci se non dubito del sorriso mezzo scettico degli ultimi arrivati.

(...)

Siamo macchiette messe a friggere nell'olio di riuso del grottesco. La puzza di comico che aleggia intorno a noi è stomachevole. Non si ride quando si è nauseati. Il principio di regalità che tutela i Prìncipi dei poveri è questo: si tratta di una realtà troppo dura e probabile, per riderne a cuor leggero. Noi, con i fantasmi di chi è stato ai nostri tavoli per stringere bicchieri simili a quelli da cui bevevamo, accerchiamo questa indifferenza stanca, proprio come la cattiva coscienza assedia la pratica leggera delle virtù.

Prima del grande sbando, il cui inizio il mio amico colloca all'incirca dopo il disastro di Ustica, noi siamo stati felici. Abbiamo acquistato la consapevolezza delle nostre infelicità e per questo eravamo superiori a tutti: eravamo supremi. Il sordido anonimato in cui consumavamo le nostre misere esistenze non ha nulla del bando di esilio che ci è stato silenziosamente comminato negli anni Ottanta e in questo ultimo, disastrato decennio. Ci siamo sciacquati le parti intime con i liquidi che grondavano dal banchetto a cui si è abbuffato il Paese. Abbiamo visto seccarsi l'altrui acquolina sulle labbra sempre più tirate e cadaveriche dei volti rapaci, fino a quei grumi secchi di saliva agli angoli della bocca di Arnaldo Forlani al processo per Tangentopoli. E mentre noi stiamo vivendo con una salute sorretta dalla pura volontà, sono i corpi dei Maggiordomi a entrare in putrefazione prima ancora di essere colti da morte certa: vedere queste sagome malate e prossime al collasso affacciarsi dai teleschermi ci lascia in bocca il dolce sapore di una vendetta del tutto naturale, e il gusto amaro che nuove marionette sono pronte a calcare il minuscolo palcoscenico dei nostri squassi.

Celebrazioni per un tempo finito, Giuseppe Genna (I)

Da "Assalto a un tempo devastato e vile", 2001

(...) L'Italia di questo trentennio è, alla stregua di Israele, un territorio dove una tradizione spirituale constata i danni causati da se stessa misurando tassi di crescita di ateismo, nonchalance esistenziale e vago sentore di un fumoso avvenire postmortem tra quelli che una volta venivano annoverati nel gregge dei fedeli - e oggi tradiscono, senza coscienza o disprezzo verso se stessi e il mondo.
Non so se l'idea viene resa con semplicità da questa immagine: è stato come affogare in una vasca mentre il condominio è in fiamme. Sostenere le ragioni di un senso della trascendenza in un regime ex religioso che si sta fottendo di ogni senso, bellamente, ha questa tragicità ironica che marchia dolorosamente una vita intera.
Tuttavia non dispero. In metropolitana o sui bagnasciuga rivieraschi, osservo trionfare i prodotti che hanno ereditato in epoca laica la forma, lo stile e la promessa delle grandi letterature religiose: i gialli - e anche la fantascienza. Sono le manifestazioni più recenti dell'attesa protratta e dell'immersione nell'improbabile che ogni evasione fideistica ha puntualmente concesso allo stormo dei suoi fedeli. E l'immancabile scontro che il potere religioso ha dovuto affrontare con l'istanza terrena e statale, oggi, assume le fogge di un grande, sterminato segreto, intorno a cui il gioco tra dissimulazione e rovesciamento della verità ha raggiunto dimensioni mai sperimentate: quelle dell'intero pianeta. Il segreto domina questo mondo, in primo luogo come segreto del dominio. Dalle reti di promozione-controllo si passa impercettibilmente a quelle di sorveglianza-disinformazione. Un tempo si cospirava sempre contro un ordine costituito. Oggi, cospirare a suo favore è un nuovo mestiere in grande sviluppo. Sotto il dominio spettacolare si cospira per mantenerlo, e per garantire ciò che soltanto esso potrà chiamare il suo buon andamento. Questa cospirazione fa parte del suo stesso funzionamento.
Ora, è difficile stabilire, mentre si procede lenti verso la macellazione, se a questo punto è meglio vantare la propria condizione di bovini o quella di condannati a morte certa e imminente. Probabilmente, reclamando la legittimità di entrambi gli statuti, diviene più importante che mai l'esistenza di un dio - certo e imminente. E si potrebbe dare il caso che il macellaio inizi a porre fede nella sacertà delle vacche.
Così, credere di dovere opporre una fede malcerta e non propria all'abbandono della stessa fede da parte di nuovi candidati alla miscredenza: ecco una buona ginnastica che preserva lo spirito dagli smottamenti e dai falsi dubbi. Per ogni pensiero come questo - è certo - c'è un macellaio che sta preparando il chiodo.

domenica 1 maggio 2011

Israele e Palestina: fra diritto e diritto, Amos Oz (II)

da "Contro il fanatismo" (Feltrinelli, 2002)

Esiste, più urgente della questione dei confini e di quella dei luoghi santi, più urgente di ogni altra questione, la tragedia dei profughi palestinesi del 1948. Quella gente che perse la propria casa e in alcuni casi la terra natia, e che durante la Guerra d'Indipendenza di Israele nel 1948 perse tutto. C'è il più totale disaccordo su chi addossare la colpa per questa tragedia. Secondo alcuni storici israeliani di oggi, è responsabile Israele. Suppongo che nel giro di qualche anno, e spero di esserci ancora quel giorno, alcuni storici arabi arriveranno a rinfacciare ai propri governi questa vergogna. Ma a prescindere dalle definitive responsabilità, la questione è urgente, nell'immediato. Ogni profugo palestinese, senza casa, senza lavoro e senza paese, dovrebbe ottenere una casa, un lavoro, un passaporto. Israele non può accogliere questa gente, per lo meno non in grandi numeri. Se lo facesse, non sarebbe più Israele. Tuttavia Israele dovrebbe essere partecipe della soluzione nel fornire risorse che permettano di aiutare questi profughi a reinsediarsi nelle zone palestinesi. Israele dovrebbe inoltre ammettere una parte di responsabilità nella tragedia. La percentuale di responsabilità è questione d'ordine accademico, e probabilmente molto soggettiva, ma una parte di responsabilità appartiene a Israele. L'altra alla leadership palestinese del 1947 e ai governi arabi del 1948. Israele è tenuto a collaborare al reinsediamento dei profughi nella futura Palestina, vale a dire Cisgiordania e Gaza, o altrove. Naturalmente Israele ha tutti i diritti di avanzare la questione del milione di ebrei profughi dai paesi arabi, che hanno perduto anche loro la casa e i beni, a seguito della guerra del 1948. Questi ebrei non vogliono tornare nei paesi arabi. Ma vi hanno lasciato tutto ciò che possedevano. Dall'Iraq, Siria, Yemen, Egitto, Nord Africa, Iran, Libano, sono stati respinti, a volte cacciati via con la forza. Tutto questo merita attenzione. Se io fossi il primo ministro d'Israele non firmerei nessun accordo di pace che non contemplasse una soluzione per i profughi palestinesi, vale a dire il loro reinsediamento nello stato di Palestina. Perché ogni risoluzione che ignorasse tale questione, sarebbe una bomba a orologeria. Non solo per ragioni morali, ma anche per la sicurezza stessa di Israele, questo problema umano e nazionale deve trovare una soluzione nel contesto immediato del processo di pace. Per fortuna non stiamo parlando dell'Africa o dell'India. Stiamo parlando di poche centinaia di migliaia di case e posti di lavoro. Non tutti i profughi palestinesi sono senza casa e senza un paese, al momento. Ma quanto a quelli che vivono ancora così, in condizioni disumane nei campi profughi - il loro problema è anche il mio. Se non c'è soluzione per questa gente, Israele non avrà pace e serenità, anche in presenza di un accordo con il vicino. Voglio poi proporre che il primo progetto comune fra ebrei israeliani e arabi palestinesi s'avvii non appena sarà conclusa la pratica di divorzio e si sia realizzata una soluzione binazionale. per questo primo progetto non avremo aiuti internazionali, le due nazioni dovranno investire nella stessa misura, dollaro per dollaro: si dovrà trattare di un monumento comune alle nostre stupidità passate, alle nostre idiozie. Perché tutti sanno ormai che quando un bel giorno il trattato di pace sarà realtà, il popolo palestinese avrà molto meno di quello che avrebbe potuto avere 55 anni fa, 5 guerre fa, 150 mila morti fa, i loro morti e i nostri morti. Se solo la dirigenza palestinese nel 1947-48 fosse stata meno fanatica e categorica e più propensa al compromesso, se solo avesse accettato la risoluzione Onu di spartizione nel novembre del 1947! Ma anche la dirigenza israeliana parteciperà a questo monumento alla stupidità, dal momento che noi israeliani avremmo potuto fare un affare molto migliore, più soddisfacente, dimostrandoci meno arroganti, meno intossicati dal potere, meno egoisti e rozzi, dopo la nostra grande vittoria militare del 1967. E così, le due nazioni dovranno fare un bel po' di introspezione, in cerca delle vicendevoli fesserie del passato. Peraltro, la buona notizia è che il blocco cognitivo è superato. A tentare un referendum quest'oggi, un sondaggio d'opinione fra il Mediterraneo e il Giordano, che chiedesse a ogni individuo - a prescindere dalla religione, dal censo, dalle tendenze politiche, dal passaporto o dall'assenza di passaporto - non la formula di una equa soluzione, non quello che gli piacerebbe vedere, ma quello che pensa succederà alla fin fine, posso immaginare che un 80% direbbe: "Una spartizione e una soluzione binazionale". Alcuni aggiungerebbero subito: "E sarà la fine di tutto, sarà un'ingiustizia tremenda!". Su entrambi i fronti, alcuni direbbero così. Ma, se non altro, la maggioranza dei popoli ora lo sa. La buona notizia è, credo, che tanto il popolo ebraico israeliano quanto quello arabo palestinese sono più avanti dei loro leader, per la prima volta in cent'anni. Quando alla fine un leader visionario salterà su a dire: "Ecco! E' fatta! Isogni biblici, chiunque è libero di continuare a covarli, i sogni del pre '47, del post '67, continuate pure a fantasticare quanto vi pare, l'immaginazione non è censurabile. Ma la realtà corre più o meno lungo i confini del 1967"; prendere o lasciare qualche ettaro qui e là, con un mutuo accordo; e una formula aperta per i luoghi santi, perché in questo caso solo un accordo elastico potrà funzionare. Nel momento in cui i leader di entrambi i fronti saranno pronti a dichiarare questo, troveranno due popoli tristemente pronti ad ascoltarli. Non con gioia, ma pronti. Più pronti che mai. Diventati tali nel modo più doloroso e cruento, ma pronti.

Vorrei dire un'ultima cosa. Che cosa potete fare? Che cosa possono fare gli opinionisti? Tutti voi europei? Che cosa può fare il mondo esterno, a parte scuotere il capo e aggiungere "terribile!"? Ebbene, due, forse, tre cose. In primo luogo, i vostri esperti in tutta Europa hanno la deprecabile abitudine di puntare il dito come un'arcigna istitutrice vittoriana in una direzione o nell'altra: "Non vi vergognate?". Troppo spesso trovo sui giornali dei paesi europei cose tremende, vuoi a proposito di Israele vuoi a proposito degli arabi e dell'islam. Cose corrive, meschine, supponenti. Intendo dire, non sono più un europeo in nessun senso, eccetto per il dolore dei miei genitori e antenati, che mi hanno trasmesso nel codice genetico questo amore non corrisposto per l'Europa. Ma non sono più europeo. Se però lo fossi, starei bene attento a non puntare il dito contro nulla e nessuno. Invece di far questo apostrofando ingiuriosamente Israele o i palestinesi, per favore fate tutto quel che potete per aiutare entrambe le parti, perché tutte e due sono in procinto di prendere la più tormentosa decisione della loro storia. Gli israeliani ritirandosi dai territori occupati, smantellando gran parte degli insediamenti, il che determinerà una contrazione dell'immagine di sé e provocherà una grave crisi interna. Essi correranno inoltre gravi rischi, non da parte della Palestina, ma da futuri poteri estremisti arabi che potranno un giorno usare il territorio palestinese per lanciare attacchi contro Israele che, dopo il ritiro, sarà ridotto a una striscia di 12 chilometri. Questo significherà che il confine del futuro stato palestinese si troverà a circa 7 chilometri dal nostro unico aeroporto internazionale. I due terzi della popolazione israeliana si troveranno in un raggio di 20 chilometri dal confine con la Palestina. Gerusalemme sarà sul confine. Non è una decisione facile da prendere per gli israeliani, eppure dovranno prenderla. I palestinesi dal canto loro dovranno sacrificare parti che erano loro prima del '48, e questo farà male. Addio Haifa, addio Giaffa, addio Beer Sheva, e molte altre cittadine e villaggi che erano della Palestina. Questo brucerà da morire.
A voi europei tocca riservare ogni ocia di aiuto e solidarietà a questi due pazienti, sin d'ora. Non dovete più scegliere tra essere pro-Israele o pro-Palestina. Dovete essere per la pace.

Israele e Palestina: fra diritto e diritto, Amos Oz (I)

da "Contro il fanatismo" (Feltrinelli, 2002)

Una delle cose che rendono il conflitto israelo-palestinese particolarmente grave, è il fatto che esso sia essenzialmente un conflitto fra due vittime. Due vittime dello stesso oppressore. L'Europa, che ha colonizzato il mondo arabo, l'ha sfruttato, umiliato, ne ha calpestato la cultura, che l'ha controllato e usato come base d'imperialismo, è la stessa Europa che ha discriminato, perseguitato, dato la caccia e infine sterminato in massa gli ebrei perpetrando un genocidio senza precedenti. A rigore, due vittime dovrebbero manifestare d'istinto un senso di solidarietà tra loro. Così succede nelle poesie di Bertolt Brecht, ad esempio. Nella sua opera, vittime diverse sviluppano d'istinto una solidarietà reciproca, diventano fratelli e marciano insieme verso le barricate, cantando le canzoni dell'autore. Ma nella vita reale, come immagino qualcuno tra voi sappia per esperienza, nella vita vera alcuni fra i più aspri conflitti vedono in campo due vittime dello stesso oppressore. Non è detto che due figli di un medesimo crudele genitore si amino a vicenda. Il più delle volte, invece, ciascuno vede nell'altro l'immagine dell'odiato genitore. Vi sto dunque per dire che è proprio questo il caso del conflitto fra ebrei e arabi, non soltanto Israele e Palestina, bensì ebrei e arabi. Guardando l'altro, entrambe le parti vedono l'immagine dell'oppressore di un tempo. Spessissimo, leggendo di letteratura araba contemporanea, non in tutta - debbo inoltre ammettere che sfortunatamente non conosco l'arabo, e dunque sono costretto a leggere traduzioni - non ovunque, ma molto sovente trovo che l'ebreo, in particolare l'ebreo israeliano, è dipinto come un'estensione dell'Europa del passato: bianca, sofisticata, tirannica, colonizzatrice, crudele, senza cuore. Sono colonizzatori, venuti ancora una volta in Medio Oriente, ora sotto spoglie di sionisti, ma venuti per opprimere, colonizzare e sfruttare. Sono sempre gli stessi - li conosciamo. Molto spesso gli arabi, persino gli scrittori arabi più sensibili, mancano di guardarci per quello che siamo, noi ebrei israeliani: un gruppo sparuto di sopravvissuti e profughi mezzi isterici, braccati da terribili incubi, traumatizzati non solo dall'Europa ma anche dal modo in cui siamo stati trattati nei paesi arabi e islamici. Metà della popolazione israeliana consiste in gente che è stata messa fuori a calci dai paesi arabi e islamici. Israele è di fatto un immenso campo profughi per ebrei. Metà di noi sono ebrei profughi dei paesi arabi, ma gli arabi non ci vedono come tali, ci considerano la longa manus del colonialismo. Parimenti noi, ebrei israeliani, non consideriamo gli arabi, nello specifico i palestinesi, per quello che sono, e cioè vittime di secoli di oppressione, sfruttamento, colonialismo e umiliazione. E invece li vediamo come dei cosacchi da pogrom, dei nazisti con i baffi, abbronzati e con indosso la kefijah. Ma sempre gli stessi, ansiosi di tagliar la gola agli ebrei per puro spasso. In breve, sono i nostri carnefici di sempre. A questo proposito vige su entrambi i fronti una profonda ignoranza: non di carattere politico, su scopi e obiettivi, ma relativa al vissuto di traumi che le due vittime hanno subìto.

domenica 3 aprile 2011

Una stanza tutta per sè, Virginia Woolf (II)

C'è in noi un istinto profondo, benché irrazionale, a favore della teoria secondo la quale l'unione dell'uomo e della donna crea la massima soddisfazione, la più completa felicità. Ma la vista di quelle due persone che salivano sul taxi e la soddisfazione che questo mi dava mi inducevano anche a chiedermi se nella mente esistano due sessi che corrispondono ai due sessi nel corpo, e se anche questi devono unirsi per giungere alla completa soddisfazione e felicità? E da dilettante mi provai a disegnare una mappa dell'anima secondo la quale in ciascuno di noi dominano due forze, una maschile e una femminile; e nel cervello dell'uomo l'uomo predomina sulla donna, e nel cervello della donna la donna predomina sull'uomo. La condizione più normale e più appagante è quella nella quale i due vivono insieme in armonia, cooperando spiritualmente. Nell'uomo, la parte femminile del cervello deve comunque avere effetto; e anche la donna deve entrare in rapporto con l'uomo che è in lei. Forse Coleridge intendeva proprio questo quando diceva che la mente grande è androgina. Ed è quando ha luogo questa fusione che la mente è del tutto fertile e può fare uso di tutte le sue facoltà. Forse una mente che sia interamente maschile non è in grado di creare, proprio come una mente che sia interamente femminile, pensavo. Ma sarebbe bene verificare che cosa si intende con maschile-femminile e, viceversa, con femminile-maschile, fermandoci a sfogliare un libro o due.
Quando diceva che la mente superiore è androgina, Coleridge certo non intendeva dire che si tratta di una mente che abbia una speciale affinità con le donne; una mente che faccia propria la loro causa o che si dedichi interamente alla loro interpretazione. Forse una mente androgina è meno adatta a fare tali distinzioni di quanto non lo sia una mente unisessuata. Egli intendeva dire, forse, che la mente androgina è risonante e porosa; che trasmette emozione senza difficoltà; che per natura è creativa, incandescente e indivisa. Di fatto si ritorna alla mente di Shakespeare come prototipo di tale androginia, prototipo della mente maschile-femminile, quantunque sarebbe impossibile dire che cosa Shakespeare pensava delle donne. E se è vero che uno dei simboli della mente pienamente sviluppata è il fatto di non pensare al sesso in maniera particolare o come una cosa a sé stante, raggiungere una simile condizione è tanto più difficile oggi di quanto non lo sia mai stato prima. Ero arrivata ai libri degli scrittori contemporanei, e lì mi fermai a domandarmi se questo fatto non si trovava forse alla radice di qualcosa che per lungo tempo mi aveva disorientata. Nessun'epoca può mai essere stata altrettanto acutamente consapevole del sesso quanto la nostra; prova ne sia il gran numero di libri sulle donne, scritti da uomini, che si trovano nella biblioteca del British Museum.

(...)

Il fatto è che né Galsworthy né Kipling hanno una scintilla di donna in loro. Pertanto tutte le loro qualità a una donna appaiono, se mi è consentito generalizzare, rozze e immature. Non hanno potere di suggestione. E quando un libro non ha potere di suggestione, per quanto forte possa colpire la superficie della mente, non riuscirà a penetrare in profondità.

(...)

A ogni modo, la primissima frase che vorrei scrivere qui, dissi attraversando la stanza fino alla scrivania e prendendo in mano il foglio intitolato "Le donne e il romanzo", è fatale che chiunque scriva abbia in mente il proprio sesso. E' fatale essere un uomo o una donna, puramente e semplicemente; si deve essere donna-maschile o uomo-femminile. Per una donna è fatale porre il benché minimo accento sui motivi di risentimento che può avere; prendere le difese di qualunque causa, anche se giusta; parlare comunque con la consapevolezza di essere donna. E fatale non è figura retorica; perché qualunque cosa scritta con quel consapevole pregiudizio è destinata a morire. Non è più fertile. Per quanto brillante ed efficace, potente e magistrale possa apparire per un giorno o due, con il sopraggiungere della sera deve avvizzire; non può crescere nella mente degli altri. Una qualche forma di collaborazione deve necessariamente aver luogo nella mente, tra la donna e l'uomo, prima che l'arte della creazione possa realizzarsi. Un qualche matrimonio degli opposti si deve consumare. La mente tutta deve mostrarsi aperta, se dobbiamo ricevere la sensazione che lo scrittore sta comunicando la sua esperienza in tutta la sua pienezza. Ci deve essere libertà e ci deve essere pace. Nessuna ruota deve cigolare, nessuna luce tremare. Le tende devono essere ben chiuse. Lo scrittore, pensavo, una volta che la sua esperienza è conclusa, deve sdraiarsi e consentire alla mente di celebrare le proprie nozze nel buio. Non deve guardare né mettere in dubbio quanto stia accadendo. Piuttosto, egli deve sfogliare i petali di una rosa o mettersi a guardare i cigni che galleggiano tranquilli lungo il fiume.

(...)

A ogni costo, spero che riusciate a entrare in possesso di una quantità di denaro sufficiente per viaggiare e per starvene con le mani in mano, per contemplare il futuro o il passato del mondo, per sognare sui libri e bighellonare agli angoli delle strade e lasciare che la lenza del pensiero si immerga profondamente nella corrente.

1928

sabato 2 aprile 2011

Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf (I)

La vita, per ambedue i sessi - e li guardai che si facevano strada a fatica lungo il marciapiede - è ardua, difficile, una lotta senza fine. Richiede un coraggio e una forza giganteschi. Più di ogni altra cosa forse, per creature dell'illusione quali noi siamo, essa richiede fiducia in se stessi. Privi di fiducia in noi stessi siamo come neonati nella culla. E allora come possiamo fare a generare, nel più breve tempo possibile, questa qualità imponderabile e al tempo stesso così inestimabile? Pensando che gli altri sono inferiori a noi. Sentendo di possedere qualche forma innata di superiorità - che si tratti di ricchezza o di rango sociale, di un naso dritto o del ritratto di un nonno a firma di Romney - perché non c'è fine ai patetici stratagemmi della fantasia umana. Da qui deriva, per un patriarca che è costretto a conquistare, che è costretto a governare, l'enorme importanza di sentire che moltissime persone, addirittura metà della razza umana, sono per natura inferiori a lui. Deve essere davvero una delle principali fonti del suo potere. Ma permettetemi di rivolgere la luce di questa osservazione sulla vita reale, pensavo. Può aiutare a spiegare alcuni di quegli enigmi psicologici che attirano la nostra attenzione ai margini della vita quotidiana? Basta questo a spiegare lo sbalordimento che ho provato, l'altro giorno, quando Z, l'uomo più umano e modesto che si sia, dopo aver preso in mano un libro di Rebecca West e averne letto un passo, aveva esclamato "Sfacciata di una femminista! Dice che gli uomini sono degli snob!". Questa esclamazione, per me sorprendente - perché mai Rebecca West avrebbe dovuto essere una femminista sfacciata per aver fatto un'affermazione probabilmente vera anche se poco lusinghiera, circa l'altro sesso? - non era solo il grido della vanità ferita; era una protesta contro qualche infrazione alla sua capacità di credere in se stesso. Per secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi dal potere magico e delizioso di riflettere la figura dell'uomo ingrandita fino a due volte le sue dimensioni normali. Senza quel potere la terra forse sarebbe ancora tutta giungla e paludi. Le glorie di tutte le nostre guerre sarebbero sconosciute. Staremmo ancora a graffiare la sagoma di un cervo sui resti di ossa di montone e a barattare selci con pelli di pecora o con qualsiasi semplice ornamento attraesse il nostro gusto non sofisticato. Non sarebbero mai esistiti Superuomini né Figli del Destino. Lo Zar o il Kaiser non avrebbero mai portato corone sul capo né le avrebbero perdute. Quale che sia l'uso che se ne fa nelle società civili, gli specchi sono indispensabili ad ogni azione violenta ed eroica. E' questa la ragione per la quale sia Napoleone che Mussolini insistono con tanta enfasi sull'inferiorità delle donne, perché se queste non fossero inferiori, verrebbe meno la loro capacità di ingrandire. Ciò serve a spiegare in parte la necessità che tanto spesso gli uomini hanno delle donne. E serve anche a spiegare perché gli uomini diventano così inquieti quando vengono criticati da una donna; e come sia impossibile per una donna dire loro questo libro è brutto, questo dipinto è debole, o qualunque altra cosa, senza procurargli molto più dolore e suscitare molta più rabbia di quanta non ne susciterebbe un uomo che facesse la stessa critica. Perché se lei comincia a dire la verità, la figura nello specchio si rimpicciolisce; la capacità maschile di adattarsi alla vita viene sminuita. Come farebbe lui a continuare a esprimere giudizi, a civilizzare indigeni, a promulgare leggi, a scrivere libri, a vestirsi elegante e pronunciare discorsi nei banchetti, se non fosse più in grado di vedere se stesso, a colazione e a cena, ingrandito almeno due volte la sua stessa taglia?
A questo pensavo, mentre riducevo il pane in briciole e giravo il caffè e di tanto in tanto guardavo la gente che passava per strada. Vedersi nello specchio ha un'importanza suprema perché carica la loro vitalità; stimola il loro sistema nervoso. Toglietegliela e l'uomo potrà morirne, come un drogato privo della cocaina. Soggiogate dall'incantesimo di quella illusione, pensavo guardando fuori dalla finestra, metà delle persone che camminano per la strada se ne vanno di buon passo a lavorare. Illuminati dai suoi piacevoli raggi, la mattina indossano cappello e cappotto. Cominciano la giornata fiduciosi, rinvigoriti, convinti di essere desiderati al tè della signorina Smith; e mentre fanno il loro ingresso nella stanza dicono a se stessi: Sono superiore a metà delle gente che è qua dentro; ed è per questo che parlano con quella sicurezza di sé, con quella fiducia in se stessi che hanno avuto conseguenze tanto profonde sulla vita pubblica mentre provocano delle bizzarre annotazioni ai margini delle mente privata.

1928

domenica 27 marzo 2011

Disputa su Dio e dintorni, Corrado Augias e Vito Mancuso

Augias

Vede dove porta la Chiesa come istituzione? Si sopravvive, certo, ma a quale prezzo. E la spiritualità, in nome della quale tutto ciò dovrebbe giustificarsi, se la dà a gambe.
Lei obbedisce al magistero, compresi i richiami della Conferenza episcopale suppongo, ma nello stesso tempo rivendica "la suprema libertà dell'uomo spirituale". Posizione apprezzabile, ma anche comoda. Un piede di qua e uno di là. Pecora obbediente del gregge, ma anche capro ribelle alla ricerca di sentieri suoi. Mi chiedo se i cattolici come lei siano una spina nel fianco per la Chiesa o non la sua foglia di fico.

(...)

Ora io chiedo al teologo che lei è se non sia addirittura blasfema un'idea di Dio che si rimette alla tecnologia sanitaria e sposta i termini della morte naturale a seconda dei macchinari inventati dagli uomini. Ci sono oggi persone tenute in vita, una sottospecie di vita puramente cellulare, solo perché strumenti complessi consentono alla loro carcassa di continuare a respirare, a defecare. Quelle stesse persone, solo pochi anni fa, sarebbero "naturalmente" morte. E aggiungo, facendo mio ciò che tempo fa mi disse il genetista Edoardo Boncinelli: "Oggi vivono e magari prosperano persone che in condizioni naturali non avrebbero avuto alcuna chance di sopravvivere fino a una certa età. Dai miopi ai sordi, dai diabetici agli emofiliaci, dai disabili di vario tipo ai portatori di intolleranze alimentari, per non parlare di tutte le problematiche connesse alle eventuali difficoltà del parto". Girano, fortunatamente, per le strade dei paesi più avanzati, molti individui che solo pochi decenni fa non ci sarebbero stati.
Allora cosa vuol dire naturale? Dov'era Dio, dove nascondeva la sua misericordia, diciamo mezzo secolo fa? E perché mai un organismo secolare, delle persone altrimenti serie, devono ricorrere a simili grotteschi aggiustamenti? La risposta è: appunto per ragioni istituzionali, cioè politiche, ovvero per poter continuare ad armi pari il braccio di ferro con lo Stato, per non perdere competenze e autorità e ricavi sui momenti fondamentali dell'esistenza: la nascita, il matrimonio, la generazione, la morte.
Ma lei mi chiede: "Crede che noi cattolici siamo tutti pecorelle-signorsì" come piacerebbe a tanti cardinali e a qualche altro eminentissimo e potentissimo prelato? So che non è così, apprezzo che non sia così, lo apprezzo talmente che mi dispiace perfino di polemizzare con lei con il rischio di farla irrigidire in una posizione che non è la sua.
Però le domando: a che servono le pecorelle signor-nò, rispetto all'immenso gregge delle pecorelle signor-sì o che semplicemente considerano la religione una scelta à la carte, un menu dal quale scegliere (questo sì, questo no, grazie) o addirittura un fazzolettino usa-e-getta? Da Francesco a oggi, sono mai riuscite le pecorelle-signornò a cambiare durevolmente la rotta, l'atteggiamento, l'animus, dell'istituzione Chiesa? Perchè questo non è mai accaduto? Mi creda se le dico una cosa piuttosto delicata. Nel brevissimo tempo in cui regnò Giovanni Paolo I, papa Albino Luciani, di fronte alla continua sorpresa delle sue affermazioni mi chiesi se la visione di Francesco non avesse per caso preso finalmente forma all'interno dei sacri palazzi. Poi Luciano morì e si è perfino ipotizzato, come sa, il suo assassinio. Non è impossibile che omicidio ci sia stato, ma poiché non lo sappiamo, è inutile rivangare la questione. Certo però, che quella morte fu, se così posso dire, provvidenziale, tanto incongrua, stridente, commovente, patetica, appariva la figura di quel piccolo papa innocente calato nei meandri della tradizione curiale, così carica di ferocia, nella storia. Com'è più adatto al ruolo il papa tedesco, l'ex capo del Sant'Uffizio, colui che ha consigliato, ispirato, al predecessore polacco la linea di chiusura nei confronti della teologia della liberazione in America Latina. Vale la pena ricordarlo, visto che lei cita i vescovi martiri ed eroi Oscar Romero e Helder Camara.

(...)

vede come possano concordare il pensiero illuministico laico e una teologia misericordiosa, che prescinda cioè dalle considerazioni di potere che così spesso avvelenano il messaggio della Chiesa ufficiale? E infine, ultima domanda, vede quale utilità si potrebbe ricavare dal una collaborazione leale e aperta di laici e cattolici in un momento in cui molti, soprattutto fra i più giovani, hanno estremo bisogno di punti di riferimento, di valori che aiutino la convivenza, il rispetto reciproco, la civiltà dei rapporti?
Perché i vescovi tedeschi e quelli spagnoli, vescovi della stessa Chiesa, si sono dimostrati così aperti, al contrario di quelli italiani? Forse perché i vescovi italiani sono peggiori, più cattivi degli altri? Forse perché tedeschi e spagnoli sono meno religiosi degli italiani? Non credo. Azzardo la mia risposta: perché gli italiani sono i più vicini alla centrale del potere, tenuti a un'obbedienza più rigida dal momento che le alte gerarchie hanno scelto di fare dell'Italia (della povera Italia) la loro terra di conquista in un momento di enormi difficoltà, con le chiese e i seminari vuoti in mezzo mondo e una scristianizzazione galoppante ovunque, perfino da noi.

(...)

Caro professore, sappia che io considero la teologia cattolica una poderosa costruzione intellettuale, né potrebbe essere altrimenti, dato il livello degli ingegni che hanno contribuito a edificarla. Tuttavia, mi pare intollerabile (oltre che controproducente per voi, come ho già detto) che questo insieme di concetti venga presentato come una verità rivelata, ovvero indiscutibile, un'etica valida per tutti e dunque da imporre a tutti, anche con l'aiuto delle leggi, là dove i legislatori si presentino abbastanza cedevoli. Non devo certo fare esempi di tale cedevolezza. Il cattolicesimo è una corrente filosofica come tante altre nelle quali il pensiero umano si è progressivamente articolato; nessuno però è stato mai obbligato a diventare stoico o a comportarsi da stoico. L'adesione allo stoicismo era una libera scelta, liberamente revocabile. Non pochi dignitari della sua Chiesa pensano, invece, che la morale da loro dettata debba essere un abito da far indossare per forza anche a chi ne vorrebbe uno diverso.

(...)

Lei sostiene che ciò è inadeguato, data l'immensità dell'oggetto teologico. Io, più modestamente, affermo che è intollerabile perché contraddice il cardine di ogni democrazia, quello che esclude l'esistenza di "principi non negoziabili" e fonda, al contrario, la possibilità di convivere in pace proprio sulla mediazione: per dirla con parole familiari e nello stesso tempo piene di significato, sul mediare, sul capire le ragioni degli altri, sul venirsi incontro.

(...)

Domanda: come mai la libertà parla lingue così diverse ai confratelli della stessa religione di qua e di là delle Alpi? Azzardo, forse sbagliando, una risposta: la libertà concessa dalla dottrina è direttamente proporzionale alla forza della possibile concorrenza con altre confessioni. In Germania c'è una forte presenza protestante: la Chiesa cattolica ne tiene conto e si adegua. Questo non è bello.

(...)

Se l'accusassero di essere fuori della linea da un punto di vista dottrinale dovrebbero, di conseguenza, farle una specie di processo - beninteso nei limiti che i tempi consentono: niente roghi -, diffidarla e, ove persistesse nel suo errore, prendere provvedimenti che non so bene in che cosa potrebbero consistere, ma sarebbero comunque sgradevoli, anche se non persecutori. In fondo, anche nel caso di Emmanuel Milingo, sacerdote ed esorcista che ne ha combinate di tutti i colori, i provvedimento disciplinari sono stati blandi rispetto a ciò che sarebbe accaduto solo qualche decennio fa. Nei tempi antichi, invece, su questioni teologiche si aprivano scismi e si rischiava di mettere in gioco la propria vita.
Penso che, oggi, la Chiesa cattolica tenda piuttosto a nascondere sotto il tappeto i dissidi in materia di dottrina, parlandone il meno possibile. Oppure a degradarli collocandoli su un piano filosofico, giudicato non solo un livello meno pericoloso, ma anche meno impegnativo. C'è un vizio in questo ragionamento poiché la filosofia è la madre di ogni pensiero organizzato, compreso quello teologico. Ho dalla mia Spinoza, e la compagnia mi conforta.
Trattandola da filosofo, riducendo le sue idee a un argomentare filosofico, la Chiesa cerca di evitare i fastidi e lo scandalo che un provvedimento disciplinare solleverebbe, insieme all'attenzione dei media, ai telegiornali che ne parlerebbero, forse non solo in Italia, e a tutto il resto che sappiamo. Meglio dire che si tratta di filosofia, che non ha mai fatto male a nessuno e della quale pochi ormai s'interessano.

lunedì 29 novembre 2010

29 novembre 2010


Muore Mario Monicelli intorno alle 21, buttandosi dal quinto piano dell'ospedale San Giovanni di Roma.

(Su quello che lascia all'Italia, è inutile commentare. Lascia in definitiva la sua vita in vita continua, e il suo stile.)


A 95 anni, lascia anche una figlia di 21 anni.


« Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena. Il cadavere di mio padre l'ho trovato io. Verso le sei del mattino ho sentito un colpo di rivoltella, mi sono alzato e ho forzato la porta del bagno. Tra l'altro un bagno molto modesto. »

« Per rimanere vivo il più a lungo possibile. L'amore delle donne, parenti, figlie, mogli, amanti, è molto pericoloso. La donna è infermiera nell'animo, e, se ha vicino un vecchio, è sempre pronta ad interpretare ogni suo desiderio, a correre a portargli quello di cui ha bisogno. Così piano piano questo vecchio non fa più niente, rimane in poltrona, non si muove più e diventa un vecchio rincoglionito. Se invece il vecchio è costretto a farsi le cose da solo, rifarsi il letto, uscire, accendere dei fornelli, qualche volta bruciarsi, va avanti dieci anni di più. »


R.I.P.

martedì 16 novembre 2010