domenica 27 marzo 2011

Disputa su Dio e dintorni, Corrado Augias e Vito Mancuso

Augias

Vede dove porta la Chiesa come istituzione? Si sopravvive, certo, ma a quale prezzo. E la spiritualità, in nome della quale tutto ciò dovrebbe giustificarsi, se la dà a gambe.
Lei obbedisce al magistero, compresi i richiami della Conferenza episcopale suppongo, ma nello stesso tempo rivendica "la suprema libertà dell'uomo spirituale". Posizione apprezzabile, ma anche comoda. Un piede di qua e uno di là. Pecora obbediente del gregge, ma anche capro ribelle alla ricerca di sentieri suoi. Mi chiedo se i cattolici come lei siano una spina nel fianco per la Chiesa o non la sua foglia di fico.

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Ora io chiedo al teologo che lei è se non sia addirittura blasfema un'idea di Dio che si rimette alla tecnologia sanitaria e sposta i termini della morte naturale a seconda dei macchinari inventati dagli uomini. Ci sono oggi persone tenute in vita, una sottospecie di vita puramente cellulare, solo perché strumenti complessi consentono alla loro carcassa di continuare a respirare, a defecare. Quelle stesse persone, solo pochi anni fa, sarebbero "naturalmente" morte. E aggiungo, facendo mio ciò che tempo fa mi disse il genetista Edoardo Boncinelli: "Oggi vivono e magari prosperano persone che in condizioni naturali non avrebbero avuto alcuna chance di sopravvivere fino a una certa età. Dai miopi ai sordi, dai diabetici agli emofiliaci, dai disabili di vario tipo ai portatori di intolleranze alimentari, per non parlare di tutte le problematiche connesse alle eventuali difficoltà del parto". Girano, fortunatamente, per le strade dei paesi più avanzati, molti individui che solo pochi decenni fa non ci sarebbero stati.
Allora cosa vuol dire naturale? Dov'era Dio, dove nascondeva la sua misericordia, diciamo mezzo secolo fa? E perché mai un organismo secolare, delle persone altrimenti serie, devono ricorrere a simili grotteschi aggiustamenti? La risposta è: appunto per ragioni istituzionali, cioè politiche, ovvero per poter continuare ad armi pari il braccio di ferro con lo Stato, per non perdere competenze e autorità e ricavi sui momenti fondamentali dell'esistenza: la nascita, il matrimonio, la generazione, la morte.
Ma lei mi chiede: "Crede che noi cattolici siamo tutti pecorelle-signorsì" come piacerebbe a tanti cardinali e a qualche altro eminentissimo e potentissimo prelato? So che non è così, apprezzo che non sia così, lo apprezzo talmente che mi dispiace perfino di polemizzare con lei con il rischio di farla irrigidire in una posizione che non è la sua.
Però le domando: a che servono le pecorelle signor-nò, rispetto all'immenso gregge delle pecorelle signor-sì o che semplicemente considerano la religione una scelta à la carte, un menu dal quale scegliere (questo sì, questo no, grazie) o addirittura un fazzolettino usa-e-getta? Da Francesco a oggi, sono mai riuscite le pecorelle-signornò a cambiare durevolmente la rotta, l'atteggiamento, l'animus, dell'istituzione Chiesa? Perchè questo non è mai accaduto? Mi creda se le dico una cosa piuttosto delicata. Nel brevissimo tempo in cui regnò Giovanni Paolo I, papa Albino Luciani, di fronte alla continua sorpresa delle sue affermazioni mi chiesi se la visione di Francesco non avesse per caso preso finalmente forma all'interno dei sacri palazzi. Poi Luciano morì e si è perfino ipotizzato, come sa, il suo assassinio. Non è impossibile che omicidio ci sia stato, ma poiché non lo sappiamo, è inutile rivangare la questione. Certo però, che quella morte fu, se così posso dire, provvidenziale, tanto incongrua, stridente, commovente, patetica, appariva la figura di quel piccolo papa innocente calato nei meandri della tradizione curiale, così carica di ferocia, nella storia. Com'è più adatto al ruolo il papa tedesco, l'ex capo del Sant'Uffizio, colui che ha consigliato, ispirato, al predecessore polacco la linea di chiusura nei confronti della teologia della liberazione in America Latina. Vale la pena ricordarlo, visto che lei cita i vescovi martiri ed eroi Oscar Romero e Helder Camara.

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vede come possano concordare il pensiero illuministico laico e una teologia misericordiosa, che prescinda cioè dalle considerazioni di potere che così spesso avvelenano il messaggio della Chiesa ufficiale? E infine, ultima domanda, vede quale utilità si potrebbe ricavare dal una collaborazione leale e aperta di laici e cattolici in un momento in cui molti, soprattutto fra i più giovani, hanno estremo bisogno di punti di riferimento, di valori che aiutino la convivenza, il rispetto reciproco, la civiltà dei rapporti?
Perché i vescovi tedeschi e quelli spagnoli, vescovi della stessa Chiesa, si sono dimostrati così aperti, al contrario di quelli italiani? Forse perché i vescovi italiani sono peggiori, più cattivi degli altri? Forse perché tedeschi e spagnoli sono meno religiosi degli italiani? Non credo. Azzardo la mia risposta: perché gli italiani sono i più vicini alla centrale del potere, tenuti a un'obbedienza più rigida dal momento che le alte gerarchie hanno scelto di fare dell'Italia (della povera Italia) la loro terra di conquista in un momento di enormi difficoltà, con le chiese e i seminari vuoti in mezzo mondo e una scristianizzazione galoppante ovunque, perfino da noi.

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Caro professore, sappia che io considero la teologia cattolica una poderosa costruzione intellettuale, né potrebbe essere altrimenti, dato il livello degli ingegni che hanno contribuito a edificarla. Tuttavia, mi pare intollerabile (oltre che controproducente per voi, come ho già detto) che questo insieme di concetti venga presentato come una verità rivelata, ovvero indiscutibile, un'etica valida per tutti e dunque da imporre a tutti, anche con l'aiuto delle leggi, là dove i legislatori si presentino abbastanza cedevoli. Non devo certo fare esempi di tale cedevolezza. Il cattolicesimo è una corrente filosofica come tante altre nelle quali il pensiero umano si è progressivamente articolato; nessuno però è stato mai obbligato a diventare stoico o a comportarsi da stoico. L'adesione allo stoicismo era una libera scelta, liberamente revocabile. Non pochi dignitari della sua Chiesa pensano, invece, che la morale da loro dettata debba essere un abito da far indossare per forza anche a chi ne vorrebbe uno diverso.

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Lei sostiene che ciò è inadeguato, data l'immensità dell'oggetto teologico. Io, più modestamente, affermo che è intollerabile perché contraddice il cardine di ogni democrazia, quello che esclude l'esistenza di "principi non negoziabili" e fonda, al contrario, la possibilità di convivere in pace proprio sulla mediazione: per dirla con parole familiari e nello stesso tempo piene di significato, sul mediare, sul capire le ragioni degli altri, sul venirsi incontro.

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Domanda: come mai la libertà parla lingue così diverse ai confratelli della stessa religione di qua e di là delle Alpi? Azzardo, forse sbagliando, una risposta: la libertà concessa dalla dottrina è direttamente proporzionale alla forza della possibile concorrenza con altre confessioni. In Germania c'è una forte presenza protestante: la Chiesa cattolica ne tiene conto e si adegua. Questo non è bello.

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Se l'accusassero di essere fuori della linea da un punto di vista dottrinale dovrebbero, di conseguenza, farle una specie di processo - beninteso nei limiti che i tempi consentono: niente roghi -, diffidarla e, ove persistesse nel suo errore, prendere provvedimenti che non so bene in che cosa potrebbero consistere, ma sarebbero comunque sgradevoli, anche se non persecutori. In fondo, anche nel caso di Emmanuel Milingo, sacerdote ed esorcista che ne ha combinate di tutti i colori, i provvedimento disciplinari sono stati blandi rispetto a ciò che sarebbe accaduto solo qualche decennio fa. Nei tempi antichi, invece, su questioni teologiche si aprivano scismi e si rischiava di mettere in gioco la propria vita.
Penso che, oggi, la Chiesa cattolica tenda piuttosto a nascondere sotto il tappeto i dissidi in materia di dottrina, parlandone il meno possibile. Oppure a degradarli collocandoli su un piano filosofico, giudicato non solo un livello meno pericoloso, ma anche meno impegnativo. C'è un vizio in questo ragionamento poiché la filosofia è la madre di ogni pensiero organizzato, compreso quello teologico. Ho dalla mia Spinoza, e la compagnia mi conforta.
Trattandola da filosofo, riducendo le sue idee a un argomentare filosofico, la Chiesa cerca di evitare i fastidi e lo scandalo che un provvedimento disciplinare solleverebbe, insieme all'attenzione dei media, ai telegiornali che ne parlerebbero, forse non solo in Italia, e a tutto il resto che sappiamo. Meglio dire che si tratta di filosofia, che non ha mai fatto male a nessuno e della quale pochi ormai s'interessano.

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