lunedì 7 marzo 2011

"Il paese dell'anima, Lettere 1909-1925" di Marina Cvetaeva

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Io sono una creatura scorticata a nudo, e tutti voi portate la corazza. Tutti voi avete: l'arte, la vita sociale, le amicizie, le distrazioni, la famiglia, il dovere, io, nel profondo, non ho NUL-LA. Tutto cade come pelle, e sotto la pelle carne viva, o fuoco - io: Psiche. In nessuna forma trovo posto - neanche in quella, spaziosissima, dei miei versi! Non riesco a vivere. In me nulla va come negli altri. Riesco a vivere solo in sogno, nei semplici sogni che si fanno di notte: ecco che cado da un quarantesimo piano a San Francisco, ecco l'alba che mi insegue, ecco un estraneo e d'improvviso io lo bacio, ecco che stanno per uccidermi e io spicco il volo. Non sto raccontando favole, io faccio sogni terribili e stupendi, sogni con l'amore, sogni con la morte, è la mia vera vita, senza eventi casuali, tutta fatale, dove tutto si avvera.
Che fare - così fatta - nella vita?! Bacio e - sono già mille miglia lontana, e l'altro si è spostato di un solo millimetro, e, dentro di me: "Non mi ama - è stanco - non è mio - voglio morire". Oh, sempre: morire! per tutto!
E' questo che vi aspettavate? Ed è forse questo che amate quando parlate (ma ne avete veramente parlato?) di amore? Ed è forse possibile amare questo?!

(...)

Poco tempo fa ho bollito nella caffettiera il fondo del fornello a spirito che avevo perso: lo spirito lo facevo bruciare nel coperchio di una scatola di lucido da scarpe. Quando ho finito di bere il caffè ho scoperto quello che avevo perso: il terribile fondo nero del fornello (che è fatto a forma di tazzina). - Che ve ne pare, come decotto? - E non sono morta.
(Dopo una cosa del genere, berrete mai caffè a casa mia?)

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