martedì 15 marzo 2011

"Ti squamo (storia di un amore screpolato)" di Antonio Rezza

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Ma adesso, dopo aver a lungo ascoltato me medesimo, vedo nel parlare un prolungamento eccessivo del bisogno: faccio esempio pertinente: se ho sete e non parola muovo cenno con la mano avvicinandola alla bocca, e stai pur sicuro che qualcuno di buon cuore e conosciuto mi si presenta col sorriso in volto e la caraffa gorgheggiante into la mano mentre nell'altra cala il bicchiere quasi fosse asso di briscola. Ma se io ho sete e pur parola, tralascio il gesto e urlo "ho sete" con l'ultimo filo di saliva atta a lubrificio di trachea infiammata: il mio interlocutore mi si presenta co' caraffa e recipiente mentre nell'aria fresca ponentina vaga il mio "ho sete" alla ricerca della pace. Pace che mai troverà. Smettiamola di considerare aereo il suono, ogni parola è figlia del fiato, il fiato pesa, soffiando in palloncino esso si gonfia, parlando in un pallone esso si gonfia, parlando in una casa essa si gonfia e scoppia, parlando nelle città, nelle nazioni, intro e fora continente, esso si gonfia e noi non lo vediamo. Non dimentichiamo che il nostro fiato puzza, l'alito indecente è più di una realtà, non inventiamo storie di smog e scappamento, perché l'ozono è bucato e vilipeso da secoli e millenni di parole, di alitate, di sfiatate, di proclami e di urla di dolore. Il mio dolore è nel vedere che una stronzata inquina più del radio attivo.

Ma poi vorrei sapere dove vanno a nascondersi i discorsi dell'umanità, in quale antro remoto essi bivaccano ridendo alle spalle di chi li pensa già scomparsi: sbobiniamo i discorsi delle autorità, dei professori, dei relatori, illudiamoci di cristallizzare l'accaduto: illudiamoci appunto, la parola orale figlia del fiato puzzolente di interiora, figlia dell'alito raccolto sotto le gengive retrattili che nascondono cibo in avaria, la parola puzzolente anche dopo sciacquo disperato, quella parola e tutte altre pronunciate, aleggerà sui nostri capi gonfia ed invisibile, provocando le stagioni, diradandosi per agevolare i freddi venti tramontini, raggrumandosi per dar luogo alle precipitazioni. E quando piove non ripariamoci con ombrelli vani, sta piovendo la saliva nostra, il detto antico si riduce acquetta e torna giustiziere a inzaccherare la pelle di chi lo ha pronunciato.
Sono talmente convinto di non essere capito che faccio un altro esempio: se io mangio male per un mese e per un mese non mi lavo i denti, puzzo nell'alito come nel mio stesso intimo. Se vengo preso e messo in una camera per alitare fino all'ultimo respiro, stai pur certo che la stanza ben presto cambierà l'odore, profumerà di mio, del mio bivacco passato, del mio carente spazzolato. Un miliardo di persone che fiatano contro il cielo generan olezzo, distruggon l'atmosfera: parliamo solo sotto gli alberi, dove la sintesi clorofilliana sarà lo sprono per una nuova sintesi, la nostra, la sintesi estrema, quella ai confini del silenzio: e poi facciamoci coraggio, passiamolo il confine ed accettiamoci con gli occhi. E quando gli occhi avranno rimpiazzato la parola, quando tutti i codici oculari avran sostituito i codici verbali, strappiamo le pupille dalle nostre facce e lasciamole per terra, a guardarci, a fissare un popolo che ancora ha la speranza di capirsi.

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