sabato 7 maggio 2011

Celebrazioni per un tempo finito, Giuseppe Genna (II)

Da "Assalto a un tempo devastato e vile", 2001

Io non credo a nulla, perciò tutto è possibile per me. La falsa vita, con cui hanno creduto di nascondermi l’autentica sopravvivenza colla quale devo fare i conti quotidianamente, non esercita alcun fastidio né credito su di me. Sono disposto ad abbandonarla subito, purché mi venga garantita la possibilità di sputare in faccia ai Maggiordomi di ogni latitudine ed estrazione. Io sono un proletario arrabbiato che non solo non possiede i mezzi della produzione, ma neppure desidera una simile sciagura. Non voglio lavorare ad altro se non alla costruzione di stati estremi di fedeltà a me stesso, al mondo che sogno e alle persone che amo. Ho imparato a diffidare persino dei miei più intimi desideri. Figuriamoci se non dubito del sorriso mezzo scettico degli ultimi arrivati.

(...)

Siamo macchiette messe a friggere nell'olio di riuso del grottesco. La puzza di comico che aleggia intorno a noi è stomachevole. Non si ride quando si è nauseati. Il principio di regalità che tutela i Prìncipi dei poveri è questo: si tratta di una realtà troppo dura e probabile, per riderne a cuor leggero. Noi, con i fantasmi di chi è stato ai nostri tavoli per stringere bicchieri simili a quelli da cui bevevamo, accerchiamo questa indifferenza stanca, proprio come la cattiva coscienza assedia la pratica leggera delle virtù.

Prima del grande sbando, il cui inizio il mio amico colloca all'incirca dopo il disastro di Ustica, noi siamo stati felici. Abbiamo acquistato la consapevolezza delle nostre infelicità e per questo eravamo superiori a tutti: eravamo supremi. Il sordido anonimato in cui consumavamo le nostre misere esistenze non ha nulla del bando di esilio che ci è stato silenziosamente comminato negli anni Ottanta e in questo ultimo, disastrato decennio. Ci siamo sciacquati le parti intime con i liquidi che grondavano dal banchetto a cui si è abbuffato il Paese. Abbiamo visto seccarsi l'altrui acquolina sulle labbra sempre più tirate e cadaveriche dei volti rapaci, fino a quei grumi secchi di saliva agli angoli della bocca di Arnaldo Forlani al processo per Tangentopoli. E mentre noi stiamo vivendo con una salute sorretta dalla pura volontà, sono i corpi dei Maggiordomi a entrare in putrefazione prima ancora di essere colti da morte certa: vedere queste sagome malate e prossime al collasso affacciarsi dai teleschermi ci lascia in bocca il dolce sapore di una vendetta del tutto naturale, e il gusto amaro che nuove marionette sono pronte a calcare il minuscolo palcoscenico dei nostri squassi.

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