domenica 1 maggio 2011

Israele e Palestina: fra diritto e diritto, Amos Oz (I)

da "Contro il fanatismo" (Feltrinelli, 2002)

Una delle cose che rendono il conflitto israelo-palestinese particolarmente grave, è il fatto che esso sia essenzialmente un conflitto fra due vittime. Due vittime dello stesso oppressore. L'Europa, che ha colonizzato il mondo arabo, l'ha sfruttato, umiliato, ne ha calpestato la cultura, che l'ha controllato e usato come base d'imperialismo, è la stessa Europa che ha discriminato, perseguitato, dato la caccia e infine sterminato in massa gli ebrei perpetrando un genocidio senza precedenti. A rigore, due vittime dovrebbero manifestare d'istinto un senso di solidarietà tra loro. Così succede nelle poesie di Bertolt Brecht, ad esempio. Nella sua opera, vittime diverse sviluppano d'istinto una solidarietà reciproca, diventano fratelli e marciano insieme verso le barricate, cantando le canzoni dell'autore. Ma nella vita reale, come immagino qualcuno tra voi sappia per esperienza, nella vita vera alcuni fra i più aspri conflitti vedono in campo due vittime dello stesso oppressore. Non è detto che due figli di un medesimo crudele genitore si amino a vicenda. Il più delle volte, invece, ciascuno vede nell'altro l'immagine dell'odiato genitore. Vi sto dunque per dire che è proprio questo il caso del conflitto fra ebrei e arabi, non soltanto Israele e Palestina, bensì ebrei e arabi. Guardando l'altro, entrambe le parti vedono l'immagine dell'oppressore di un tempo. Spessissimo, leggendo di letteratura araba contemporanea, non in tutta - debbo inoltre ammettere che sfortunatamente non conosco l'arabo, e dunque sono costretto a leggere traduzioni - non ovunque, ma molto sovente trovo che l'ebreo, in particolare l'ebreo israeliano, è dipinto come un'estensione dell'Europa del passato: bianca, sofisticata, tirannica, colonizzatrice, crudele, senza cuore. Sono colonizzatori, venuti ancora una volta in Medio Oriente, ora sotto spoglie di sionisti, ma venuti per opprimere, colonizzare e sfruttare. Sono sempre gli stessi - li conosciamo. Molto spesso gli arabi, persino gli scrittori arabi più sensibili, mancano di guardarci per quello che siamo, noi ebrei israeliani: un gruppo sparuto di sopravvissuti e profughi mezzi isterici, braccati da terribili incubi, traumatizzati non solo dall'Europa ma anche dal modo in cui siamo stati trattati nei paesi arabi e islamici. Metà della popolazione israeliana consiste in gente che è stata messa fuori a calci dai paesi arabi e islamici. Israele è di fatto un immenso campo profughi per ebrei. Metà di noi sono ebrei profughi dei paesi arabi, ma gli arabi non ci vedono come tali, ci considerano la longa manus del colonialismo. Parimenti noi, ebrei israeliani, non consideriamo gli arabi, nello specifico i palestinesi, per quello che sono, e cioè vittime di secoli di oppressione, sfruttamento, colonialismo e umiliazione. E invece li vediamo come dei cosacchi da pogrom, dei nazisti con i baffi, abbronzati e con indosso la kefijah. Ma sempre gli stessi, ansiosi di tagliar la gola agli ebrei per puro spasso. In breve, sono i nostri carnefici di sempre. A questo proposito vige su entrambi i fronti una profonda ignoranza: non di carattere politico, su scopi e obiettivi, ma relativa al vissuto di traumi che le due vittime hanno subìto.

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