giovedì 26 settembre 2013

"La vita esposta" - Franco Arminio

Quando penso alla vita mi viene sempre di accompagnarla con questo aggettivo: esposta. Quando penso alla vita penso sempre che è esposta alla morte. Come una casa che ha il pavimento squarciato da una faglia e da sotto spira il vento nero, il vento del thanatos. In effetti noi possiamo costruire muri e tetti per riparare la vita, ma non possiamo costruire pavimenti. Dovunque andiamo, anche sulla Luna, rimaniamo sempre appoggiati sulla Terra. Appoggiati fino a quando siamo vivi.
Anche quando penso alla scrittura mi viene sempre di accompagnarla con questo aggettivo: esposta. Penso sempre che la scrittura che non si espone è profondamente inutile. Sembra strano che una scrittura non si esponga, ma è una cosa che accade molto spesso. Comunque non si può impedire a nessuno di scrivere giocando a nascondino. In effetti anche chi si espone si nasconde, per il semplice fatto che appena ti fai vedere, immancabilmente gli altri chiudono gli occhi. Io credo di aver fatto questa esperienza con le donne. Con loro ho puntualmente registrato questa mia condizione di invisibilità. Mi ricordo certi discorsi fatti dai sedici ai vent'anni. Ogni donna che incontravo era occasione per un lungo discorrere. Parlavo per farmi notare, e questo parlare piano piano o velocemente mi sgretolava. Direi che l'unica variante era proprio il ritmo con cui avveniva la sparizione, sul fatto che sparivo ai loro occhi non c'era dubbio. Non ero corpo, ma una voce. Allora ancora non lo sapevo, io non parlavo di me stesso, ma di un caso, il caso Arminio. Esponevo la cosa più intima come fosse la più distante. E dunque per nessuna donna era possibile capire chi era la persona che chiedeva intimità: la persona che parlava o quella di cui si parlava.
La faccenda tra me e le donne più che erotica è sempre stata semiologica. Tra me e loro c'era sempre la scrittura. Arrivavo a una donna portando la scrittura a cui mi avevano portato le donne precedenti. Invano chiedevo che fossero loro a scrivere, a parlare, lo chiedevo così fittamente che non c'era spazio per interrompere la mia richiesta. Non ci sono mai state novità in questi incontri. Alla mia esposizione seguiva il loro nascondersi e sparire. Io non ho mai lasciato una donna e non sono mai stato lasciato. Semplice dissolvenza. Destino normale per un dissoluto.

da "Nevica e ho le prove" (Laterza, 2009)

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