giovedì 1 agosto 2013

“Forse non sarà una canzone” – Ti ricordi di Italia 90?


Non capita anche a voi di ritrovare ogni tanto cimeli di quel che fu “Italia 90”? Una penna, un portachiavi o una spilletta in qualche cassetto dimenticato, l’etichetta di un asciugamani o una bandierina... fino a schede telefoniche, poster, e a quelli che ormai sono autentici pezzi da collezione per feticisti.

Impossibile - per chi, a qualsiasi età, c’era - dimenticare l’atmosfera di quei mondiali di calcio. Facciamo allora un tuffo indietro nel tempo.  E “se bastasse una (sola) canzone”, come cantava (sempre nel ’90) Eros Ramazzotti? Infatti una ne basta. Da lì parte tutto ciò che vi si possa abbinare, in un magma di ricordi, emozioni e sogni in cui – inspiegabilmente, e forse per la prima volta in maniera così leggera eppure pesantemente latente nella memoria massmediatica italiana –  i contorni di privato e collettivo sbiadiscono fino a confondersi completamente.


E’ l’8 giugno del 1990, ed è il giorno in cui allo Stadio Meazza di Milano si alza il mega sipario radiotelevisivo e va in scena la 14ma edizione dei campionati mondiali di calcio. La Fifa aveva scelto già nell’84 l’Italia come prossima nazione ospitante, facendo schizzare se possibile alle stelle la già comprovata febbre calcistica del suo popolo. Tutto per un po’ si tinge di blu. Si tratta del blu indossato in campo dai nostri azzurri, del blu del mare estivo come del mare che lambisce e unisce i continenti, il blu sereno di sole del cielo italiano ma - soprattutto, oltre qualsiasi riferimento “naturalistico” – è il tono rassicurante scelto per colorare i caratteri del logo ”Eurovisione” e che contrassegna la nuova fase dell’”Europa senza frontiere”, apertasi insieme alle crepe nel muro (da qualche mese crollato) a Berlino. Un colore destinato a diventare tinta emotiva, i cui rimandi simbolici - e possibili coniugazioni estetiche - vengono sapientemente dosati da una poderosa macchina organizzativa ostinata a confezionare il miglior evento, avvalendosi di ogni nuova tecnologia legata all’immagine. Lo spettacolo abbagliante delle stelline che assalgono i contenuti già imperversa, e qui – va detto - siamo all’Italia a.B. (insomma: avanti Discesa in Campo di Berlusconi; anche se, evidentemente, c’era già chi stava lavorando per lui: vedi, tanto per dirne una, alla voce Legge Mammì e ai vari “decreti Berlusconi” craxiani). Io avevo più o meno 8 anni ma ricordo il programma Rai "Europa Europa", quello in cui alla fine tutti aspettavano la telefonata a casa per vincere il montepremi di gettoni d’oro in palio; lo ricordo per un clamoroso scherzo di mio cugino a mia madre, che corse al telefono urlando “Europa Europa!!” nello stesso momento in cui Fabrizio Frizzi o Elisabetta Gardini nello schermo terminarono di digitare il numero di turno, dunque ripensando a cose come questa non mi meraviglio troppo della scarsissima conoscenza delle dinamiche istituzionali europee (cosa puoi dire a chi ha deciso di mandare al parlamento di Bruxelles, ad esempio, Iva Zanicchi o Barbara Matera?), specie in quest’anno cruciale di crisi economica e politica durante il quale tutto il peso della loro vacuità - in termini di effettiva percezione sociale valoriale e reale - si è fatto sentire.


Ciao è il nome del simbolo-mascotte di “Italia ‘90” più votato dai giocatori del Totocalcio; con i suoi cubetti verde-bianco-rossi uniti a formare un ometto stilizzato che si muove calciando la palla, campeggia su qualsiasi oggetto o superficie privi della facoltà di respirare ma, secondo le grandi imprese, dotati di un irresistibile appeal pubblicitario. Chiunque respirasse, invece, non ha potuto fare a meno di ascoltare “Un’estate italiana”, la sigla ufficiale di questi Mondiali. “Notti magiche, inseguendo un gol” è il ritornello-tormentone cantato dal duo di rocker nostrani Nannini-Bennato. Ormai lanciatissima nelle radio italiane, la canzone straripa dal tempo della fruizione privata e invade i luoghi di aggregazione (o viceversa), riecheggia per le strade e attraverso gli stabilimenti balneari, assolvendo ottimamente al compito di cementificare - mentre, fuor di metafora, numerosi cantieri vennero aperti per ammodernare ed erigere nuovi stadi - le coscienze intorno a un evento di tale portata. Ma di tutti gli sprechi, gli appalti e gli incidenti più o meno evitabili se ne potrà parlare poi (anche perché a breve scoppierà Tangentopoli); adesso è il momento di “essere i numero uno” come suggerisce il titolo del pezzo di Tom Whitlock (quello della “Take my breath away” di Top Gun), del quale “Un’estate italiana” è la versione nostrana. Il testo italiano è forse più poetico e allusivo rispetto all’originale, in linea con la tradizione melodica e autoriale della nostra musica popolare: racconta di “un’avventura in più” da vivere, “senza frontiere e con il cuore in gola”, ti dice che probabilmente “non sarà una canzone a cambiare le regole del gioco” ma che vale la pena comunque abbandonarsi al brivido e inseguire quel sogno di vincere “che comincia da bambino”. In entrambi i casi la musica (e la produzione) è opera di Giorgio Moroder, pioniere italiano nel campo dell’elettronica e disco music, e compositore di pluripremiate colonne sonore.

Tante probabilmente furono le personali notti magiche che gli italiani avrebbero di lì in poi ricordato, mentre questo singolo balzava in vetta alla classifica non solo come il più ascoltato ma anche come il 45 giri - pubblicato nel novembre 1989 e cantato in playback durante la cerimonia ufficiale di apertura - in assoluto più venduto dell’anno, l’ultimo prima della sparizione di questo ormai obsoleto supporto dal mercato discografico. Altrettanto numerosi, e tra loro concatenati, sono i fatti del mondo di cui l’anno 1990 si fa portatore, o forse diremmo meglio incubatore. Campioni del mondo sono (per la terza volta) i tedeschi dell’Ovest, ma sarà l‘ultima partita che “le due Germanie”giocheranno con maglie diverse: è l’8 luglio e il processo di unificazione economica è già partito, il Checkpoint Charlie è stato rimosso e il muro a Berlino sta definitivamente cedendo. Di lì a pochissimo - dopo un vertice G7 che si apre alla perestroika di Gorbačëv - 160000 berlinesi, e l’Europa intera davanti alla tv, potranno “vedere” The Wall dei Pink Floyd. E poi ancora: in Sudafrica Nelson Mandela è libero dopo 28 anni di carcere, e a marzo verrà sancita l’abolizione dell'apartheid; a maggio l'Organizzazione Mondiale della Sanità depenna l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali; la Lady di ferro Margareth  Thatcher in Inghilterra è in crisi e a novembre si dimette, dopo i suoi 15 anni di governo “liberal-conservatore”. In Italia c’è - sempre -  Giulio Andreotti al governo (se Wikipedia non sbaglia trattasi del suo VI insediamento su un totale di 47 disponibili dall’esistenza della forma repubblicana); il ventaglio parlamentare è costituito da Dc, Psi e Psdi, Partito Repubblicano e Partito Liberale, mentre il fu Partito Comunista Italiano è impegnato nei congressi e dibattiti della storica “svolta” all’ex quartiere Bolognina del capoluogo emiliano (a ottobre Achille Occhetto presenterà il nome e il simbolo del nascente Partito Democratico della Sinistra - Pds). Rai Tre manda in onda a marzo 1990 – alla vigilia del congresso di Bologna - il documentario “La cosa” di Nanni Moretti, girato all’interno di alcune sezioni Pci italiane in quel periodo. Muore il comunismo e muoiono anche i Cccp; sarà un caso, ma dopo un concertone a Mosca e San Pietroburgo (con tanto di militari sovietici tra il pubblico) il gruppo – anzi, il suo leader punkettone Giovanni Lindo Ferretti – si ritiene soddisfatto e decide di rinominarsi Csi. Annarella, canzone facente parte dell’ultimo disco come Cccp intitolato “Epica Etica Etnica Pathos”, chissà mai perché, non avrà tutto il successo di Un’estate italiana.


Dalle parti italiane, comunque, pare che ogni tanto precipiti un aereo: dopo il DC9 abbattutosi su Ustica dieci anni prima, incidente sul quale sarà a breve presentata una Commissione Parlamentare d’inchiesta (secondo la quale le autorità militari e gli organismi politici avrebbero ostacolato e depistato le indagini), nel corso di un’esibizione acrobatica vicino Treviso precipita al suolo un caccia sovietico SU27 , provocando due morti e diversi feriti. Intanto siamo quasi alla prima guerra del Golfo, perché l’Iraq invade ad agosto il Kuwait e dopo poco iil governo italiano invierà rinforzi alla marina statunitense. Continuando col capitolo “segreti di stato”, a luglio c’era stata anche l’assoluzione in secondo grado degli imputati per la Strage di Bologna. Ma, visto che si parla di segreti, non posso non ricordare l’impressione che mi fece a quell’età - sempre 8 anni - il volto tumefatto della povera Laura Palmer il cui corpo fu rinvenuto, ormai morto, avvolto in quella plastica sporca; i miei cambiarono canale immediatamente, chissà che strana espressione avevano formato i lineamenti del mio viso. La serie “Twin Peaks” (con David Lynch in generale) la scoprii poi all’università, innamorandomene per sempre e così tanto da avere una sorta di orgoglioso pregiudizio critico nei confronti di qualsiasi serie tv venuta dopo. Un’altra visione scoperta in là negli anni con gioia è stata “In nome del popolo sovrano” di Luigi Magni, che chiudeva la trilogia del regista concepita contro il potere temporale della Chiesa. Ogni tanto vado ad ascoltarmi la colonna sonora, immaginando come mai non sia diventato questo il nostro inno.

Non è semplice andare indietro nel tempo rinvenendo mele marce in mezzo ai bei ricordi; specie per una generazione come la mia che, secondo Le Statistiche Economiche E Occupazionali, è stata “così sfortunata!” (ma in verità vi dico, non preoccupatevi, sopravviveremo lo stesso: ci avranno tolto varie opportunità, di sicuro però non il materiale per grosse risate e ironia pungente). E' difficile, più che altro, vedere ancora oggi alcune presenze riconfermarsi o ri-crearsi nel panorama politico e culturale popolare. A tratti non se ne può veramente più. Il cliché ideologico che sfila quotidianamente ai nostri occhi, attraverso gli stessi media di sempre, spesso mi sa proprio di pallone Italia 90 sgonfio, ammaccato, inutile, eppure proprio in virtù di tali caratteristiche messo lì spavaldamente in esposizione nel museo dello stantìo nazionale. Ma a me, al massimo, viene voglia di dargli un gran calcio e viverla, così, quest'avventura. L’estate sta finendo, e ad ognuno il suo gol.

martedì 30 aprile 2013

L'orizzonte degli eventi, Baustelle



Voce 1 

Sebbene la massa del sole incurvi lo spazio-tempo 
e ogni religione punti sul concetto di eternità, 
ci rivolgiamo alle agenzie di viaggi e seguitiamo ad aver paura. 
La stessa di quello scrittore americano del Novecento 
che gli costò perplessità nei confronti del progresso, 
accuse di razzismo e letteratura da quattro soldi. 
Viviamo l’orizzonte degli eventi. 
Oltrepassarlo ci spaventa e ci esalta insieme. 
Al ventennale dell’esame di stato non sono andato, 
ma continuo a immaginare ciò che mi riserverà il futuro 
e quale inno mio figio canterà. 
Bucare l’orizzonte degli eventi. 
Questo vogliamo tutti, quando facciamo sport per rimanere giovani, 
preghiamo la Madonna, o ci appoggiamo la 
canna di pistola alla tempia 

Voce 2 

Mercedes. Recessione. Fallimento. Dipendenti. Calciatori. 
Brava Gente. Imprenditore. Questore. Prestazione. Pressione. 
Fiscale. Annalisa. Vicinato. Cinquant’anni. Discoteca. 
L’orizzonte. Messaggino. Perdono. Vergogna. Gesù Cristo. 
Porta a porta. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. 
canna di pistola alla tempia 

Voce 3 

Paola lascia casa. Il ragazzo, la famiglia, una gatta. 
L’Inghilterra o la Germania, questo sì. 
Questo si che è sicuro. Un lavoro anche di merda lo si trova. 
Paola lascia tutto e non saluta nessuno. 
Disillusione per disillusione, meglio la maleducazione che una 
canna di pistola alla tempia

domenica 28 aprile 2013

Michel Houellebecq, da "Estensione del dominio della lotta"

La norma è complessa, multiforme. Fuori dall’orario di lavoro c’è la spesa che devi pur fare, i bancomat da cui devi pur mungere i soldi (e davanti ai quali, fin troppo spesso, ti tocca fare la fila). Soprattutto ci sono i diversi saldi che devi far pervenire agli organismi che gestiscono i differenti aspetti della tua vita. Come se non bastasse, ti può capitare di ammalarti, cosa che implica spese e nuove formalità.
Comunque un po’ di tempo libero ti resta sempre. Che fare? Come impiegarlo? Consacrarsi al servizio del prossimo? Già, solo che, in fondo, il prossimo non ti interessa affatto. Ascoltare musica? Un tempo, magari: ma nel corso degli anni ti sei reso conto che la musica ti soddisfa sempre meno.
Il bricolage, preso nel suo senso più lato, può offrire una via di scampo. Ma in verità non c’è nulla che riesca a impedire il sempre più ravvicinato ritorno di quei momenti in cui la tua solitudine assoluta, la percezione della vacuità universale, il presentimento che la tua esistenza stia approssimandosi a un disastro doloroso e definitivo, si combinano per sprofondarti in uno stato di vera e propria sofferenza. E tuttavia continui a non aver voglia di morire.

Hai avuto una vita. Ci sono stati momenti in cui avevi una vita. Certo, non te ne ricordi più benissimo; ma ad attestarlo restano varie fotografie. Questo succedeva, probabilmente, all’epoca della tua adolescenza, o poco più tardi. Quant’era grande, allora, la tua smania di vivere! L’esistenza ti sembrava ricca di possibilità inedite. Ti vedevi potenziale cantante di musica leggera, ti vedevi in viaggio per il Venezuela.
Ancor più sorprendente, hai avuto un’infanzia. Allora: osserva un bambino di sette anni che gioca coi soldatini sul tappeto del salotto. Ti chiedo di osservarlo attentamente. Dopo il divorzio dei genitori, quel bambino non ha più padre. Vede pochissimo la madre, che occupa una posizone importante in un’azienda di cosmetici. Eppure si balocca coi soldatini, e l’interesse che mostra per queste rappresentazioni del mondo e della guerra sembra molto intenso. Questo bambino, non c’è alcun dubbio, già soffre un po’ di mancanza d’affetto; e tuttavia: quanto sembra interessargli il mondo!

Voi pure, vi siete interessati del mondo. Parlo di tanto tempo fa; però vi prego di provare a ricordare. Il dominio della norma non vi era più sufficiente; non potevate più viverci, nel dominio della norma, e così vi trovaste a dover entrare nel dominio della lotta. Vi chiedo di riandare a quel momento preciso. Risale a molto tempo fa, vero? Rammentate: l’acqua era fredda. Ecco: siete lontani dalla riva, o sì! come siete lontani dalla riva! A lungo vi siete illusi dell’esistenza di un’altra riva; sbagliando, com’è ormai evidente. Tuttavia continuate a nuotare, e ogni movimento che fate vi avvicina al collasso. Tossite, i vostri polmoni bruciano. L’acqua vi sembra sempre più fredda, e soprattutto sempre più amara. Non siete più tanto giovani. E adesso state per morire. Non è niente. Ci sono qua io. Non vi lascerò cadere. Continuate a leggere.
Ricordatevi, ancora una volta, del vostro ingresso nel dominio della lotta.

(…)

Comunque, al giorno d’oggi ci si rivede poco, anche quando la relazione goda di un’atmosfera di entusiasmo. Talvolta hanno luogo conversazioni affannose che trattano gli aspetti generali della vita; e talvolta si produce un’intesa carnale. Certo, ci si scambia il numero di telefono, ma in genere ci si richiama poco. E anche qualora ci si richiami, e ci si riveda, la delusione e il disincanto prendono rapidamente il posto dell’entusiasmo iniziale. Credete a me, che la vita la conosco: le cose vanno esattamente così.

Questo progressivo sbiadire delle relazioni umane non manca di porre qualche problema al romanzo. Come si potrà, infatti, proseguire la narrazione di passioni focose, sviluppate lungo svariati anni e talvolta in grado di far sentire i propri effetti su diverse generazioni? Il meno che si possa dire è che siamo lontani da Cime Tempestose. La forma romanzesca non è concepita per ritrarre l’indifferenza, né il nulla; occorrerà inventare un’articolazione più piatta, più concisa e più dimessa. Se le relazioni umane diventano progressivamente impossibili,  ciò avviene chiaramente per via di quella moltiplicazione dei gradi di libertà di cui Jean-Yves Fréhaut si dichiarava entusiasta. Sono certo che egli stesso non avesse conosciuto alcun legame; il suo stato di libertà era estremo. Lo dico senza acrimonia. Si trattava, come ho già detto, di un uomo felice; detto questo, non invidio la sua felicità.



martedì 26 marzo 2013

“Solo noi, arrotolati i vostri tre anni di guerra”, di Velimir Chlebnikov

Solo noi, arrotolati i vostri tre anni di guerra
in un cartoccio di minaccevole tromba,
cantiamo e gridiamo, cantiamo e gridiamo,
ubriachi del fascino di quella certezza,
che il Governo del Globo Terrestre
già esiste:
siamo Noi.
Solo noi abbiamo calcato sulle nostre fronti
il serto selvatico di Governanti del Globo Terrestre,
inesorabili nella nostra abbronzata ferocia,
saliti sul masso del diritto di conquista,
alzando il vessillo del tempo,
noi – vasai che cociamo le umide argille dell’umanià
nelle brocche e nei bricchi del tempo,
noi – promotori della caccia alle anime
urliamo in canuti corni marittimi,
chiamiamo a raccolta gli umani armenti –
Evoè! Chi è con noi?
Chi ci è amico e compagno?
Evoè! Chi ci segue?
Così noi balliamo, pastori degli uomini e
dell’umanità, sonando il piffero.
Evoè? Chi è più grande?
Evoè! Chi è più avanti?
Solo noi, saliti sul masso
di noi stessi e dei nostri nomi,
fra un mare di vostre maligne pupille,
solcate dalla fame dei patiboli
e contorte dall’estremo orrore,
sulla risacca dell’urlo umano
vogliamo che ci si apostrofi e d’ora in poi ci si onori
Presidenti del Globo Terrestre.
Che sfacciati – diranno certuni,
no, sono santi, obietteranno degli altri.
Ma noi sorrideremo come dèi,
additando con la mano il Sole.
Trascinatelo ad un guinzaglio per cani,
impiccatelo alle parole
“Libertà”, “Fratellanza”, “Uguaglianza”,
processatelo al vostro tribunale di sguattere,
perché sulle soglie
d’una molto ridente primavera
ci ha ispirati questi bei pensieri,
queste parole e ci ha dato
questi sguardi sdegnosi.
Il colpevole è Lui.
Noi non facciamo che adémpiere il bisbiglio solare,
quando verso di voi erompiamo come
capimandatari dei suoi ordini,
dei suoi severi comandi.
Le pingui folle dell’umanità
si stenderanno sulle nostre tracce.
Dove noi siamo passati,
Londra, Parigi e Chicago
per gratitudine sostituiranno i loro
nomi coi nostri.
Ma perdoneremo una tale stoltezza.
Tutto questo è di là da venire,
e intanto, madri,
portate via i vostri figli,
se apparirà in qualche posto uno stato.
Giovani, saltate e rintanatevi nelle spelonche
e nel profondo del mare,
se in qualche posto vedrete uno stato.
Ragazze e chiunque fra voi non sopporta l’odore dei morti,
cadete in deliquio alla parola “frontiere”:
esse odorano di cadaveri.
Eppure ogni ceppo fu un tempo
una bella conifera,
un pino fogliuto.
Il ceppo è perverso soltanto per questo,
che su esso si tronca la testa agli uomini.
Così, stato, anche tu
sei parola assai bella nel sogno,
composta di ben cinque suoni:
con molte comodità e refrigerio.
Sei cresciuto in un bosco di parole:
ceneriera, fiammifero, cicca,
pari tra pari;
ma perché si va nutrendo d’uomini?
Perché il paese natìo s’è fatto cannibale,
e la patria sua sposa?
Ehi! Ascoltate!
A nome dell’intera umanità
ci rivolgiamo con maneggi di pace
agli stati del passato:
se voi siete splendidi, o stati,
come amate narrare di voi stessi
e di voi costringete a narrare i vostri famigli,
allora perché questo cibo agli dèi?
Perché scricchiamo, noi uomini, nelle vostre mandibole,
tra zanne  e denti molari?
Ascoltate, stati degli spazi,
ecco ormai da tre anni
voi fate finta
che l’umanità sia soltanto una pasta,
un dolce biscotto che vi si scioglie in bocca;
e se il biscotto scatterà come un rasoio, dicendo: mammina?
Se lo spargeremo di noi,
come d’un tossico?
D’ora in poi noi ordiniamo di sostituire le parole “Per grazia divina”
con “Per grazia delle Isole Figi”.
E’ forse decente per il Signor Globo Terrestre
(sia fatta la sua volontà)
incoraggiare il cannibalismo ecumenico
entro i confini di se stesso?
E non è servilismo senza limiti
da parte degli uomini  in quanto mangiabili
proteggere il proprio Mangiatore Supremo?
Ascoltate! Persino le formiche
spruzzano acido fòrmico sulla lingua dell’orso.
Se ci sarà qualcuno ad obiettare
che lo stato degli spazi non è giudicabile
come ecumenica persona di diritto,
non obietteremo noi forse che l’uomo
è anch’esso uno stato: bìmano,
di globuli sanguigni, ed anch’esso ecumenico?
Se gli stati sono perversi,
chi di noi moverà un solo dito,
per prolungare il loro sonno
sotto la coltre del Per Sempre?
Voi siete malcontenti, o stati
e loro governi,
in segno d’avviso battete i denti
e fate piccoli balzi. E con questo?
Noi siamo la massima forza
e sempre potremo rispondere:
a sommossa di stati
sommossa di schiavi, -
con una missiva bene assestata.
Stando sulla tolda delle parole “Superstato della stella”
e non necessitando di bastone nell'ora di questo rullìo,
chiediamo: chi è più alto:
noi che, in virtù del diritto di sommossa
e inoppugnabili nel nostro primato,
servendoci della tutela delle leggi sull’invenzione,
ci siamo proclamati Presidenti del Globo Terrestre,
oppure voi, governi
di singoli paesi del passato,
questi prosaici residui caduti vicino a macelli
di tori bìpedi,
del cui cadaverico umore vi siete unti?
Quanto a noi, condottieri di un’umanità
da noi edificata secondo le leggi dei raggi
con l’ausilio delle equazioni del fato,
noi rinneghiamo i padroni,
che si spacciano per governanti,
per stati e altre case editrici
e ditte commerciali Guerra & C.,
che hanno appoggiato i mulini del dolce benessere
all'ormai triennale cascata
di vostra birra e di nostro sangue
dall’inerme onda rossa.
Vediamo stati ruzzolare sulla spada
per lo sconforto del nostro avvento.
La patria sulle labbra, sventolandovi
col ventaglio del regolamento béllico-campale,
avete con impudenza inserito la guerra
nel cerchio delle Fidanzate dell’uomo.
Ma voi, stati degli spazi, placatevi
e non piangete come ragazzine.
Come intesa privata di privati,
assieme alle società degli ammiratori di Dante,
dell’allevamento di conigli, della lotta con le arvìcole,
entrerete sotto l’usbergo delle leggi da noi promulgate.
Non vi toccheremo.
Una volta per anno potrete adunarvi in annuali adunanze,
passando in rassegna le forze che si rarefanno
e in base al diritto delle associazioni.
Restate dunque volontaria intesa
di privati, non necessaria a nessuno
e per nessuno importante.
Fastidiosa come un mal di denti
in una Nonnina del XVII secolo.
Rispetto a noi voi siete
come l’irsuta gamba-mano di una scimmia,
scottata da un recòndito dio-fiamma,
rispetto alla mano d’un pensatore, che placida
governa l’universo,
di questo cavaliere della sorte sellata.
C’è di più: noi fondiamo
la società per la difesa degli stati
dal ruvido e feroce trattamento
delle comuni del tempo.
Come deviatori
ai binari d’incontro del Passato e del Futuro,
guardiamo con uguale sangue freddo
alla sostituzione dei vostri stati con una
umanità edificata scientificamente,
come alla sostituzione d’una ciòcia di tiglio
col bagliore di specchio d’un treno.
Compagni-operai! Non vi lagnate di noi:
come operai-architetti, noi andiamo
per una strada speciale ad un fine comune.
Noi siamo un genere speciale d’arma.
Dunque il guanto di sfida
di quattro parole “Governo del Globo Terrestre”
è gettato.
Intersecato da una rossa folgore,
l’azzurro stendardo dell’Anarchia,
stendardo delle albe ventose, dei soli aurorali,
è issato e sventola sopra la terra,
eccolo, amici miei!
Il Governo del Globo Terrestre!

21 aprile 1917


mercoledì 13 marzo 2013

Antonin Artaud - La fame non aspetta...

Decongestionare l'Economia vuol dire semplificarla, filtrare il superfluo perché la fame non aspetta.
Così poco inclini come siamo ad occuparci d'Economia, è sotto il suo aspetto Economico ed esclusivamente Economico che la situazione attuale ci colpisce, e lo fa in maniera pressante, angosciante, richiedendo soluzioni immediate, se non vogliamo che siano gli avvenimenti a imporci le loro soluzioni, che sarebbero disastrose, ma probabilmente decisive. E la questione che si pone è quella di sapere se bisogna provare a orientarli, gli avvenimenti, accelerandone il ritmo nel loro verso, o se per caso non valga la pena di lasciarli correre, fino a che l'ascesso si svuoti da sé, una volta per tutte, e per davvero.
Possiamo affidare al caso, certo, il compito di giungere a soluzioni estreme; ma non è affatto certo che il caso non guidato faccia bene e completamente quanto deve, ma un intervento, poiché un intervento è inevitabile e necessario, potrebbe darsi, per essere al contempo efficace e decisivo, solo nel senso di un certo numero di necessità naturali e fiutando gli avvenimenti.
Che la situazione sia grave, angosciante, e ancor più che angosciante, minacciosa, nessuno lo negherà e forse non dipende ormai più da noi il fatto che diventi, dall'oggi al domani, catastrofica. Qualunque cosa avvenga, c'è un certo numero di fatti elementari che è indispensabile che siano da tutti compresi, per contenere o precedere il disastro, e in tal caso farlo evolvere in in corso vantaggioso e comunque efficace perché se ne tragga il maggior vantaggio.
Si sa che quest'anno, come "tredicesima", i salari sono stati ridotti qui del 10, altrove del 20%, e questo in modo unanime, in tutta la Francia.
In questa notte di fine d'anno, prima dell'anno nuovo che non osiamo più sperare si conduca meno fiaccamente e meno ... del precedente, sappiamo che la maggior parte dei teatri di Parigi ha registrato incassi che si possono considerare i peggiori dell'anno, e per in cinema gli incassi sono diminuiti, in rapporto alla vigilia di Natale, di un sesto.
Otto giorni fa, il maggior industriale serico di Lione,Gillet, la cui azienda era vecchia di oltre un secolo, è fallito, accusando una perdita di capitale di un miliardo, e lasciando sul lastrico più di tremila operai.
Lo Stato non concede sussidi di disoccupazione, ma le autorità locali, che non vogliono lasciar morire di fame i trecentomila disoccupati della regione parigina, prendono, da casse di mutuo soccorso frettolosamente messe in piedi, da sei a otto franchi al giorno che distribuiscono a ogni disoccupato, che per poco che tenga famiglia ha a mala pena di che conservare forza sufficiente per vedersi lucidamente morire di fame.
Questa è la soluzione come si mostra ai non prevenuti e agli ignoranti. Ma questi elementi sono insufficienti per sbattere, davanti agli occhi di chi non ha paura di affrontare la verità, il quadro premonitore di immense, inevitabili e indubbiamente salutari, perché necessarie, rivoluzioni.

Capitalizzare la fame.