venerdì 18 febbraio 2011

La felicità non è un lusso - Guido Morselli

da "Il suicidio"

articolo apparso sul Tempo di Milano il 7 settembre 1949
- "Appunti in margine al dopoguerra" era l'occhiello -


(...)
Trovo ripetuta in un saggio recente di Jules Sageret la classica proposizione, essere l'uomo anzitutto ed essenzialmente individuo. Non la sottoscriverei senza riserve. Essenziale anche nell'uomo è, con quello, un opposto carattere: la dipendenza dagli altri viventi, e dal complesso della natura. E' ciò che lo fa consistere; un filosofo d'oggi (che non ha a che vedere con gli esistenzialisti) lo chiama: l'Esistenza; è l'attrazione che su ognuno di noi esercitano i nostri simili, è l'istinto, la Necessità.

L'uomo è in bilico fra queste due tendenze: e forse meglio che tendenze si direbbero il gemino fondamento della sua realtà. Ossia, l'uomo positivamente si comporrebbe di natura e di libertà, l'una contraria e complementare all'altra, in parità d'influssi. Una parità che è, del resto, e ben s'intende, rarissima. Ed ecco infatti i molti, gli innumerevoli, che non vivono se non come elementi della folla, della "tribù": gli uomoni-massa. Ecco coloro in cui la legge dell'istinto è, piuttosto che imperiosa, coattiva. All'opposto estremo i superuomini, i campioni dell'Io, i dominatori, e - assai più vicini a quelli che dall'apparenza non sembri - gli asceti, le "anime belle", coloro che rinnegano la sensualità. Vi è una dimidiata umanità, apparentata ai Robots di cui Georges Bernanos ci ha fornito il ritratto, e vi è una superumanità, un'umanità orgogliosamente eslege.

L'equabile proporzione fra individualità e natura non è mai stata di tutti, e probabilmente non lo sarà mai; il miracolo di un'armonia compiuta e costante appartiene al genio: che non è misticamente ispirato nè ferocemente rapace, come lo volevano i romantici. Oggi, la disarmonia sembra costituire la regola universale. Se nei più è la coesione che predomina, insieme con la coazione dell'istinto, a danno dell'individualità e della volontà, i periodi di crisi provocano, in quegli stessi uomini, reazioni improvvise; scialbe personalità, già stancamente abbandonate alla corrente, si riscuotono d'un tratto, anomale ed eccessive, si levano nella ribellione dissennata e violenta, vi si consumano. Le grandi calamità, guerre, rivoluzioni, accentuano tutti gli squilibri. Al termine di esse, proprio allorquando la moltitudine si fa più folta e più schiava, vediamo emergere le individualità insulari o dispotiche, da cui sarà o spregiata o sottomessa, e avviata a nuovi disastrosi cimenti. Così pure, dopo quelle calamità, pare che da un lato l'impulso generativo si renda più imperioso e quasi insuscettibile di provvidi freni, dall'altro lato pare che più frequente e acuta sia la tentazione di recidere quello e ogni impulso vitale nella suprema negazione che è il suicidio. Soggezione, o rivolta.

Nella sfera sociale, contro il collettivismo per cui l'uomo non è più che una macchina, si accampa l'anarchia di fatto di un'accolta discorde di monadi, solo consapevole dei propri privilegi. Nella sfera più intimamente personale, accanto alla naturalità ciecamente istintiva, la innaturalità che sconvolge l'ordine della vita o lo distrugge senz'altro.

Individui e popoli oscillano fra questi poli, poichè sono assenti dal loro mondo, o declinanti, le forze (non certo meccaniche o biologiche od economiche) capaci di attrarli stabilmente in quelle zone temperate, dove soltanto può l'umanità stanziarsi e fiorire.

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