venerdì 15 giugno 2012

Il mestiere di vivere - Cesare Pavese (5)

30 ott. 1940

Il dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio. Il dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l'aria. E' impalpabile, sfugge a ogni presa e a ogni lotta; vive nel tempo, è la stessa cosa che il tempo; se ha dei sussulti e degli urli, li ha soltanto per lasciar meglio indifeso chi soffre, negli istanti che seguiranno, nei lunghi istanti in cui si riassapora lo strazio passato e si aspetta il successivo. Questi sussulti non sono il dolore propriamente detto, sono istanti di vitalità inventati dai nervi per  far sentire la durata del dolore vero, la durata tediosa, esasperante, infinita del tempo-dolore. Chi soffre è sempre in stato d'attesa - attesa del sussulto e attesa del nuovo sussulto. Viene il momento che si preferisce la crisi dell'urlo alla sua attesa. Viene il momento che si grida senza necessità, pur di rompere la corrente del tempo, pur di sentire che accade qualcosa, che la durata eterna del dolore bestiale si è un istante interrotta - sia pure per intensificarsi.
Qualche volta viene il sospetto che la morte - l'inferno - consisterà ancora nel fluire di un dolore senza sussulti, senza voce, senza istanti, tutto tempo e tutto eternità, incessante come il fluire del sangue in un corpo che non morirà più.

La forza del'indifferenza! - è quella che ha permesso alle pietre di durare immutate per milioni d'anni.

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