mercoledì 6 giugno 2012

Il mestiere di vivere - Cesare Pavese (3)

Sia chiaro, una volta per tutte, che essere innamorato è un fatto personale che non riguarda l'oggetto amato - nemmeno se questo riami. Ci si scambia, anche in questo caso, dei gesti e delle parole simboliche in cui ciascuno legge quanto ha dentro di sé e per analogia suppone viga nell'altro. Ma non c'è ragione, non c'è bisogno che i due contenuti combacino. Ci vuole un'arte tutta propria per sapere accettare e interpretare favorevolmente quei simboli e disporvi la propria vita in modo soddisfacente. Nulla può fare l'uno all'altro se non offrire di questi simboli, illudendosi che la corrispondenza sia reale. Ma occorre una riserva at the back of one's head di pratica scaltrezza: occorre aver deciso di servirsi di questa offerta (fatta per bisogno individuale dell'oggetto amato) per appagare le proprie necessità. Chi sarà stato scaltro nell'impostazione della corrispondenza, non soffrirà vicende, farà accadere ogni cosa secondo il suo vantaggio, creerà un mondo di cristallo in cui si godrà l'oggetto. Ma non dimenticherà mai che la sfera di cristallo è un vuoto dove l'aria non penetra, e si guarderà dal romperla nell'ingenuo tentativo di arearla. Abbandoni, trasporti, figli, devozioni, fiducie: sono simboli individuali, dai quali l'aria - la mistica penetrazione dell'altro - è sempre esclusa.
Vi è insomma tra questi simboli e la realtà lo stesso rapporto che tra le parole e le cose. Bisogna essere così scaltri da prestar loro un significato senza scambiarli con la sostanza vera. Che è la solitudine di ciascuno, fredda e immobile.



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