giovedì 28 aprile 2011

Alcune posizioni, Boris Pasternak (I)

da "La reazione di Wassermann - saggi e materiali sull'arte", Marsilio Editori 1970

1. Se mi capita di parlare dell'arcano, o di pittura, o di teatro, riesco a parlare con quella tranquilla noncuranza con cui uno spirito libero può ragionare di tutto. Ma se il discorso investe la letteratura, vengo assalito dal pensiero del libro e perdo la capacità di ragionare. Mi si deve scuotere a gomitate, mi si deve tirar fuori a forza, come da un deliquio, da quella situazione di fantasticheria fisica sul libro: e solo allora, molto controvoglia, vincendo quasi un leggero disgusto, prendo parte alla conversazione altrui sopra un qualunque tema letterario. Ma non sul libro, su qualcos'altro: sul varietà, poniamo, o sui poeti, sulle tendenze, sulla creatività, e così via. Se dovessi dar retta alla mia inclinazione, senza costrizioni di sorta, non passerei mai, per nessun motivo, dalla sfera dei miei problemi a quella della problematica dilettantesca.

2. Le correnti contemporanee hanno immaginato l'arte come una fontana, mentre essa è una spugna. Hanno deciso che l'arte deve zampillare, mentre essa deve succhiare e lasciarsi impregnare. Hanno ritenuto che l'arte si possa scomporre in metodi di rappresentazione, mentre essa è formata dagli organi di percezione. Deve essere sempre tra gli spettatori, e guardare ogni cosa in maniera sempre più pura, sempre più recettiva, sempre più fedele; ma ai nostri giorni l'arte ha conosciuto la cipria, il camerino, e si esibisce sul palcoscenico del varietà: come se al mondo ci fossero due specie di arte, e una di esse potesse permettersi il lusso (visto che c'è l'altra di riserva) di autotravisarsi, che è poi un suicidio. Essa si esibisce: invece dovrebbe affondare nel loggione, nell'anonimità, quasi senza sapere che ha la coda di paglia, e che anche se lasciata in un angolo, essa viene incendiata dalla trasparenza luminosa e dalla fosforescenza, come da una malattia.

3. Il libro è un frammento cubico di coscienza ardente, ansimante: niente di più.
Il pigolìo è la preoccupazione della Natura di conservare la specie dei pennuti, il suo trillo primaverile nelle orecchie. Il libro è un gallo cedrone al richiamo dell'aia. Non ascolta niente e nessuno; è assordato da se stesso, ascolta solo se stesso. Senza di lui la stirpe dello spirito non avrebbe discendenza. Si interromperebbe. I libri non c'erano presso le scimmmie.
E' stato scritto. E' cresciuto, si è fatto intelligente, ha visto le cose: ed eccolo adulto. Non è colpa sua se gli altri vi guardano attraverso. Questa è la struttura dell'universo spirituale. Ma di recente hanno pensato che le scene, nel libro, sono delle messe in scena. E' un errore: a che gli servirebbero? Hanno dimenticato che l'unica cosa in nostro potere è di saper non travisare la voce della Vita che risuona in noi.
Non essere capaci di trovare e dire la verità, è una colpa che non può essere mascherata da nessuna abilità a dire la non-verità. Il libro è un'essenza viva. Sta nella memoria e nella pienezza della riflessione: i quadri e le scene sono quanto esso ha saputo recuperare dal passato, ha ricordato, e non è disposto a dimenticare.

4. La vita non si è mossa adesso. L'arte non ha mai avuto inizio. E' sempre stata disponibile, fino al momento in cui non viene fermata.
E' infinita. E adesso, in questo preciso istante, dietro a me e in me, è tale che mi inonda della sua fresca e irruente universalità ed eternità, come uscendo da una sala di riunioni che si spalanca all'improvviso. E' come un repentino appello al giuramento.
Nessun libro vero ha una prima pagina. Come il rumore del bosco, il libro è concepito Dio sa dove, e rotola, risvegliando gli anfratti della riserva, e d'improvviso, nell'istante più oscuro, l'istante dello stupore e del panico, comincia a parlare per tutte le alte cime dei monti: all'improvviso, rotolando.

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