giovedì 7 aprile 2011

Il ponte, Franz Kafka

Ero rigido e freddo, ero un ponte, ero disteso sopra un abisso. Di qua stavano le punte dei piedi, di là avevo conficcate le mani, mi aggrappavo nell'argilla sgretolabile. Le falde della mia giacca sventolavano ai miei lati. Nella profondità rumoreggiava il gelido ruscello dell trote. Nessun turista si smarriva fino a quell'altezza impervia, il ponte non era ancora segnato sulle carte. - Stavo così disteso e aspettavo; dovevo aspettare. Senza crollare, nessun ponte, una volta costruito, può cessare di essere ponte.
Una volta, era verso sera, era la prima, era la millesima, non lo so, - i pensieri erano sempre confusi e giravano in tondo, verso sera, nell'estate, il ruscello mormorava più cupamente, allora udii un passo d'uomo! A me, a me! - Stenditi, ponte, mettiti in posizione, travata senza ringhiera, sorreggi colui che è affidato a te. Bilancia impercettibilmente l'insicurezza del suo passo, ma se egli barcolla, fatti conoscere, e, come un dio della montagna, scaraventalo a terra.
Quello venne, mi percosse con la punta di ferro del suo bastone, poi alzò con essa le falde della mia giacca, e le sistemò su di me. Passò la punta nei miei capelli cespugliosi, la lasciò stare dentro a lungo, forse guardandosi intorno crudelmente. Ma poi - appunto lo seguivo nel sogno per mari e monti - mi saltò in mezzo al corpo a piedi pari. Io tremai nel violento dolore, del tutto ignaro. Chi era? Un fanciullo? Un sogno? Un bandito di strada? Un suicida? Un tentatore? Un distruttore? E mi girai per guardarlo. - Un ponte che si volta! Non mi ero ancora voltato che già crollavo, crollavo e già ero lacerato e trafitto dai ciottoli aguzzi che mi avevano sempre fissato così pacificamente dall'acqua impetuosa.

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